Capitolo XXIV

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Aprile 1179, San Giovanni d'Acrì...

Le strade del mercato non erano mai state così deserte e puzzolenti. Ovunque si voltasse vedeva pozzanghere con dentro carni putrefatte di animali scuoiati e topi che ben felici rosicchiavano il pasto. Le tende dei vari mercanti erano completamente rotte. Iris realizzò di essere capitata nel più tetro angolo di Acrì, nonché il più povero. Le donne erano costrette a vestirsi di stracci e il loro sudore, misto all'odore del pesce, si sentiva a molta distanza. Tutto ciò che vide grondava povertà.

Non ricordava di essersi mai scandalizzata tanto.

"Quanto vengono otto di queste?" Chiese la guaritrice, indicando al mercante le prugne dal colore scuro, quasi nero anziché viola.

"12 Shekel, mia bella Signora."

Iris piegò le labbra in un timido sorriso allo sguardo che il mercante barbuto le rivolse. Non erano poi tanti e grazie all'occupazione della sua "padrona" come prima senatrice, il suo salario era aumentato quanto bastava per dare anche a lei una vita un poco lussuosa, come quella dei Templari.

Frugò nel cesto e aprì il suo sacchetto dorato, contenente i suoi Shekel. Ne prese dodici giusti e li mise nelle mani del mercante, ben soddisfatto. Prese le otto prugne e le mise nel cesto, mentre con un sorriso si apprestava ad allontanarsi da lì. La piazzola del mercato era caduta in un chiacchiericcio confuso ed Iris poté vedere che oltre ai topi, in quella stessa pozzanghera, c'erano in aggiunta anche i cani a mangiare i resti della carne buttata lì.

Con una mano libera alzò i lembi del tulle dell'abito avorio, addentrandosi in un vicolo che l'avrebbe condotta prima alla residenza dei Templari, passando per la residenza dei cavalieri Ospitalieri.

Quando arrivò al cortile d'addestramento dei cavalieri del tempio, l'aria pulita andò a sostituirsi ad un insopportabile odore di sudore e sangue. Un senso di vomito le attanagliò lo stomaco, cercando di superarli a passo rapido e dirigersi verso le cucine. Posò il cesto sul tavolo di legno, usato dalla servitù per cucinare e mangiare, quando terminavano di servire i vari cavalieri. Vide la cucina completamente vuota e si chiese dove fossero finiti tutti i servi. Un rumore proveniente da fuori, esattamente quello di un martello che andava a battere su un'asse di legno, le ricordò che molti di loro erano occupati nella costruzione della nuova residenza Templare, quasi al termine da quanto sentiva vociferare per i corridoi. Sarebbe stata una nuova fortezza quella che si apprestava a sorgere nei pressi di San Giovanni d'Acrì. Finalmente un posto degno del rango che ricoprivano i cavalieri del tempio.

Iris spostò i capelli, le quali ciocche erano adornate da perle bianche e gemme dorate, portandoseli dietro la nuca, prima di prendere un panno e legandoselo dietro la vita. Era sporco di terra ma era sempre meglio finirlo a sporcare che rischiare di rovinare il tessuto del suo pregiato abito, un regalo della sua premurosa amica per i suoi servigi. Dopodiché prese uno stiletto dal manico di legno e dalla lama quasi rovinata, usata di solito per tagliare le carni del bestiame che veniva servito al banchetto serale, tutti i giorni tranne il Venerdì.

Aveva riempito un recipiente d'acqua e lo teneva nella vasca, mentre una mano scivolò nel cesto e prese una prugna appena comprata. Prese a tagliarla, facendo rovesciare gli spicchi del frutto nel contenitore. Osservò i pezzi viola galleggiare nell'acqua, mentre questa si colorava di una profonda tonalità di viola chiaro. Man mano che tagliava, Iris poté vedere che anche le sue dita si erano colorate del medesimo colore, fin dentro le unghie corte.

"Umar, sei qui?"

La voce di un cavaliere la fece trasalire, graffiandosi il pollice con la lama dello stiletto. Dalle sue labbra uscì un flebile stritolio di dolore, mentre la prugna finiva in acqua. Alle sue spalle, sulla porta, il cavaliere Jarabe Tazim si era arrestato in un'espressione di stupore, posando la mano sul muro, vedendo la guaritrice.

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