Capitolo XIV

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Il sole primaverile dell'anno 1176 filtrò dalle finestre, entrando nella stanza reale della principessa Sibilla che dormiva profondamente, con la testa china ancora sul cuscino e il suo corpo dalla carnagione lattea avvolto nelle lenzuola di seta.

Svegliarsi nel suo letto era sempre meglio che svegliarsi nelle stanze del convento di San Lazzaro, dov'era rimasta per gran parte della sua giovinezza, imparando così le sacre scritture e le tradizioni della chiesa cristiana. Ma ora che suo fratello era diventato Re, le cose per lei sarebbero cambiate, in meglio. Proprio alcuni giorni fa, Raimondo III di Tripoli, le aveva comunicato che presto si sarebbe sposata, anche se non conosceva questo baldo giovine che avrebbe chiesto la sua mano.

Ammesso e concesso che sia giovane.

Ma d'altronde sapeva di non poter disubbidire a suo fratello e avrebbe scelto chiunque egli riteneva degno del suo rango. Sibilla scostò le lenzuola e, con la lunga tunica bianca a fasciarle il suo corpo snello, andò alla finestra. Da lì poteva udire il chiacchiericcio mattiniero della gente, l'odore di pane appena sfornato, di pesce ma soprattutto di paura. Sapeva che quella gente viveva nel timore di poter morire da un momento all'altro. Lo leggeva nei loro occhi, nella loro mente e nelle loro espressioni. E anche se solo un anno fa, suo fratello, aveva stipulato un trattato di pace con il Saladino, la cosa non la tranquillizzava.

La giovane sentiva ancora gli occhi stanchi. Quanto aveva dormito? Perché le sue dame di compagnia ancora non venivano ad aiutarla a prepararsi per l'incontro con suo fratello? Come se le avessero letto nel pensiero, poco dopo bussarono alla sua porta.

"Avanti."

Disse con ancora la voce impastata dal sonno. La porta di legno si aprì ed entrarono tutte le sue dame, da quelle che servivano a fare i lavori più umili a quelle della quale si fidava. Lucrezia Sinclair ed Anne Gautier erano tra queste.

"Buongiorno, Altezza."

La salutarono all'unisono, accompagnando il loro tono da una reverenza impeccabile. Sibilla sorrise, annuendo leggermente e facendo cenno a tutte loro di avvicinarsi.

"Buongiorno a voi, mie care."

Se c'era una cosa nella quale Sibilla di Gerusalemme era famosa, era proprio la sua bontà e gentilezza, oltre che alla sua bellezza mozzafiato. Lei trattava tutti alla sua pari, non era mai sgarbata o pettegola. Agli occhi dell'intero regno appariva come una fanciulla giovane, bella, gentile e prossima alle nozze. La sua preoccupazione maggiore, forse, era per suo fratello. Sapeva che non avrebbe mai avuto la gioia di diventare zia o cognata di una sua ipotetica moglie. Questo per via della malattia di lebbra che aveva sin dalla nascita. Per questo, che sia in pubblico o in privato, si presentava con una maschera sul viso e dei guanti a fasciarli le mani dalla pelle divorata da quella malattia. Ma lei lo amava lo stesso. Morente o dolente era pur sempre suo fratello, non lo vedeva come Re. Forse non l'avrebbe mai visto come tale.

Una volta che le sue dame l'aiutarono a lavarsi e a scegliere il vestito giusto, una tunica celeste con decorazioni tipiche arabe e sul busto decorazioni floreali viola come lavanda e un velo a coprirle la testa, avorio con ai bordi attaccate delle monete d'oro. Quei colori, secondo le sue dame civettuole, facevano risaltare i suoi occhi celesti, la sua pelle lattea e i suoi capelli neri corvino, perfettamente in contrasto con la pelle di porcellana. Non indossò collane ma dei semplici orecchini, delle croci bianche con bordi dorati. Quando fu pronta per poter incontrare il Re, le sue dame la scortarono fino all'entrata della stanza di quest'ultimo. Alcune di loro lo ritenevano un buon sovrano e addirittura dolce. Anche Baldovino, come la sorella, aveva un carattere forte e deciso ma anche molto gentile con il prossimo, sebbene la vita con lui fosse stata alquanto crudele. Quando Sibilla si fece annunciare ed entrò, trovò suo fratello intento a giocare da solo a scacchi. Sempre con quella maschera a coprire il volto sfigurato, sempre con quei guanti a coprire le mani rugose di sangue e sempre quella tunica bianca a coprirlo come uno di quei ricchi Signori d'Oriente. Ricco lo era, in effetti, e non era un Signore ma bensì un Re. Sibilla si precipitò tra le sue braccia, ben contenta di vederlo così presto.

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