Capitolo XXXVII

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Papà.

Arn strabuzzò gli occhi, non riuscendo a mettere a fuoco cosa lo circondava intorno. Ciò che sentiva era una voce ovattata che aveva il ricordo di quella di suo figlio. Di scatto, si tirò a sedere sul giaciglio dov'era seduto ma ciò che vide intorno a sé fu oltremodo assurdo. Bianco. Intorno a lui vi era solo il bianco profondo. Si guardò per un attimo le mani, rigirandole e scoprendole senza segni o terra nelle unghie, erano pulite come non lo erano mai state. E sapevano di... lavanda. Dei ramoscelli di lavanda, infatti erano poggiati ai suoi piedi. Non appena provò ad alzarsi barcollò di poco ma il bianco non se ne andò, rimaneva ad avvolgerlo nell'oblio. Era morto, non vi era altra ragione. Altrimenti perché non riusciva a mettere a fuoco niente e perché sentiva la voce di suo figlio così vicina a lui ma praticamente così lontana?

Papà.

"Edward!" Lo chiamò, nella speranza che gli rispondesse o che per lo meno il suo volto si manifestasse davanti ai suoi occhi.

Quella voce. Troppe notti aveva sognato di risentirla, di risentirla che lo chiamava per nome, avvolta in un tono caldo e malinconico della consapevolezza di essere stati lontani per troppo tempo. Entrambi lo sapevano, lo percepivano a vicenda, l'assenza delle due metà. Vi era un richiamo di sangue tra padre e figlio e in quel momento era palpabile nell'aria. Quando Arn iniziò a camminare, alla cieca, in quel bianco come la nebbia e la neve, si sentiva leggermente stanco, debilitato. Tanto che dovette fermarsi e ricadere in ginocchio, mentre la voce di suo figlio continuava a chiamarlo insistentemente.

Papà.

La voce ancora più lontana, il tono sempre meno udibile... fino a quando gli occhi di Arn non scorsero delle tracce di sangue a macchiare quel bianco immacolato nella quale era avvolto. Erano impronte di mani quelle che macchiavano il pavimento ed era l'impronta di un bambino che gli toccò il volto, segnandolo.

"Edward." La voce venne mozzata da un singhiozzo, mentre si accasciava a terra, ormai senza forze per continuare a camminare. Dentro di sé la consapevolezza che non l'avrebbe mai più rivisto. Il suo cuore sanguinava come quelle impronte, macchiandogli l'anima e realizzando di aver fallito anche come padre. I singhiozzi si tramutarono in lacrime e le lacrime in un pianto senza sosta. Si fermò solamente quando si sentì toccare la spalla da una mano, gentile, fine e signorile. Quando volse lo sguardo indietro, vide solo gli occhi gentili e tristi di Vivienne. Sul capo aveva un velo nero e viola, come il suo vestito. Un vestito di lutto.

"Cavaliere, svegliatevi." Strabuzzò gli occhi fino a quando non si ritrovò completamente in un'altra dimensione. Il bianco era sparito, ora vi era una ventata d'aria gelida a sorprenderlo nel mondo reale.

"Cavaliere, state bene?" Lì dove prima si era materializzato il volto di Vivienne, ora vi era quello di un'altra donna, decisamente dall'aria più giovane, il taglio degli occhi diverso e dal tono altrettanto. Aveva l'impressione di averla già vista da qualche parte ma il freddo del pavimento, a contatto con la sua pelle calda, non li faceva capire molto. Non riusciva a fare mente locale di dove si trovava, ma guardandosi intorno doveva essere in una casa. Restava solo la domanda di come c'era arrivato. La donna l'aiutò a rialzarsi, rimettendolo nel giaciglio, trattandolo quasi come fosse un bambino.

"Che è successo?" Chiese, senza dire altro. Né un "grazie" e né altro uscì dalla sua bocca se non quella semplice e banale domanda. In realtà, in testa, gli rimbombava ancora la voce del figlio che lo chiamava.

La donna –ragazza vista la giovane età- lo guardò con un lieve sorriso a dipingerle il volto, mentre prendeva una ciotola di terracotta colma di zuppa e gliela porgeva. "Non ricordate nulla?"

Arn non guardò neanche cosa ci fosse dentro che la prese tra le mani e se la portò alla bocca, sorseggiando. "Non molto. Come ci sono arrivato qui?"

La ragazza si strofinò le mani, pensando alle parole giuste da dire. Si era fatta un discorso ben preciso quando l'aveva curato ma ora se ne era completamente dimenticata. Stava per dire qualcosa quando il tendaggio della stanza venne sposato e fece il suo ingresso suo padre, Al-Malik. Gli occhi scuri si concentrarono subito sul cavaliere, la capigliatura brizzolata era stata lasciata al vento, più corta rispetto a quella del fratello maggiore. Aveva il volto serio e i muscoli rilassati.

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