Capitolo XIX

20 5 0
                                    

"Spinga, mia Signora! Spinga!"

Stringeva i denti, mordeva con forza il labbro inferiore, tanto da farsi male e fare uscire il sangue ma riusciva a stento a sentirlo. Il sudore era colato sulle palpebre e non le permetteva di vedere chiaramente ciò che accadeva intorno a lei. Aveva impregnato con esso ogni ciocca dei suoi capelli biondi, riducendoli a semplici fili di grano.

Il suo esile corpo fremeva ad ogni contrazione e, ogni volta, sul suo viso si dipingevano delle smorfie di dolore. Il calore delle candele accese nella stanza non era nulla, non riusciva a sentirlo. L'unica cosa che sentiva era il dolore che la colpiva dall'interno e che la stava divorando pian piano.

Le ancelle intorno a lei le incitavano a spingere ancora e ancora, ma le forze la stavano lentamente abbandonando. Il sangue usciva copioso e le lenzuola bianche erano impregnate di quel putrido odore che le dava ancora più la nausea. Sentiva la costante presenza di Lucrezia Sinclair, che amorevolmente le stringeva una mano e la incoraggiava a farsi coraggio, proprio come una sorella.

Già... ma dov'era la sua? Dov'era Anne?

Vivienne avrebbe voluto sua sorella accanto a sé, in un momento del genere. Perché non c'era? Perché la odiava così tanto? E mentre spingeva, la maggiore delle Gautier non faceva che frustarsi mentalmente di questo pensiero.

Sua sorella la odiava, ora più che mai lo sentiva. Avrebbe voluto invece averla lì, in quel momento, che fosse lei a stringerle la mano e non una donna che conosceva poco. Avrebbe voluto che ci fosse sua madre, ma era troppo impegnata a pregare il suo Dio che a dare coraggio alla figlia.

Buttò la testa all'indietro, rischiando di sbatterla contro la testiera del letto. Ma in quel momento, anche il dolore di una testa fracassata contro il muro era niente a ciò che stava provando. Cercò di riprendere il suo respiro regolare e mentalmente contò fino a tre, prima di spingere nuovamente.

"Mia Signora ci siamo, spinga ancora."

Strinse forte gli occhi, sperando che quel gesto potesse placare il dolore che stava sentendo. Inutile dire che non servì a nulla. La testa iniziava a farle male, così come i muscoli del corpo, che ad ogni contrazione si stringevano sempre di più.

Ma tutto finì nell'arco di un'ultima spinta. Le urla che si erano create erano sorde alle sue orecchie. Non sentiva più niente se non il pianto, leggero come una foglia e armonioso come uno strumento musicale, di un bambino.

Il suo bambino.

"Mia Signora, è nato. È un maschio."

Un maschio.

Vivienne riaprì lentamente gli occhi e vide due ancelle avvolgere il bambino in una coperta per tenerlo al riparo dal freddo e pulirlo. Ci volle tempo prima che riuscì a metterlo a fuoco, per via del sudore che le procurava bruciore agli occhi, ma quando riuscì a focalizzare la vista su di esso, non poté fare a meno di sorridere lievemente, piangendo. Stavolta non c'era dolore ma solo infinita gioia.

Dalla porta vide entrare suo padre, seguito da suo marito, che accorsero vicino un'ancella per vedere il bambino. Ma subito dopo, l'attenzione di Arn Lundberg ricadde su sua moglie, che affannata come se avesse corso ma indubbiamente felice, li sorrideva. Il cavaliere la raggiunse, chinandosi al suo capezzale e baciando le sue mani.

"Come stai?" Le chiese, visibilmente preoccupato.

Vivienne trattenne a stento le lacrime, stringendo più forte la presa di suo marito sulle sue mani. "Sto bene, mio Signore."

Arn si chinò a baciare sua moglie sulle labbra, osservandola per un istante. Era molto provata, per via delle ore passate in travaglio, senza dare buoni risultati, fino a quel momento. Avrebbe dovuto riposare e pensare soltanto a rimettersi.

Anima RubrumDove le storie prendono vita. Scoprilo ora