Capitolo LIII

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In tutta la sua vita non aveva mai creduto di poter provare tanto odio. Un sentimento così duro, così violento in maniera psicologica e così contorto. Certo, aveva provato odio quando aveva saputo che Maddalena si era tolta la vita. Aveva provato odio verso i Moloch, che gliela avevano portata via. Strappata dal petto ma mai dal cuore. Aveva odiato sé stesso quando Vivienne gli era morta tra le braccia, esalando un'ultima parola solo per il loro figlio appena nato.

A lei doveva ogni cosa. Per lei, infatti, avrebbe sfidato anche il destino stesso.

Per tutto il giorno –dove aveva cavalcato senza sosta in direzione della Provenza- aveva provato a chiedersi come aveva potuto Anne Gautier togliere la vita alla sua stessa sorella. Ogni giorno non provava rimorso? Non aveva neanche un briciolo di umiltà? No. A malincuore dovette ammettere che era sempre stata un'egoista, una donna che avrebbe ucciso pur di volere qualcosa. Ma così non aveva fatto altro che ottenere il suo odio.

Arn Lundberg si dovette ricredere sui bei pensieri fatti sulla cognata tempo addietro, quando senza sosta e fatica si occupava amorevolmente di Edward, come avrebbe fatto ogni madre. Un moto di rabbia si accelerò in lui, facendoli ribollire il sangue nelle vene. Era una furia talmente ceca da non sentire neanche gli zoccoli del cavallo sbattere continuamente al suolo, in un ritmo ripetitivo.

Non recuperò lucidità neanche quando di fronte a sé si manifestò l'impotente maniero francese dei Gautier. Smontò dal cavallo quasi velocemente, mentre vide un inserviente venirgli incontro per occuparsi dell'animale, affinché venisse spazzolato e condotto alla stalla. Ma Arn alzò una mano, impedendogli di continuare il suo cammino. Infatti, il servò si arrestò dov'era, davanti l'uscio della porta.

"Non azzardarti a toccare quel cavallo!" Esclamò in un sibilo minaccioso, senza farsi sentire dal figlio che ancora vi era in sella. "Tenetelo d'occhio." Concluse, camminando alla volta dell'atrio del maniero. Vide solamente, con la coda dell'occhio, l'inserviente fare un cenno d'assenso e andare verso Edward, probabilmente per farlo scendere e assicurarsi che il cavallo non partisse alla carica.

Nessuno, in tutti quegli anni, l'aveva visto con un umore del genere. Tutti gli inservienti, al suo passaggio, abbandonavano momentaneamente le proprie mansioni per alzare anche solo lo sguardo e sperare di scorgere la causa di quelle ombre scure che si erano impossessati del suo viso ma non trapelò nulla. Mai, nessuna emozione. Ciò che sentirono furono solamente una porta che veniva sbattuta, probabilmente quella di una stanza, ma non della sua.

Anne si stava mirando allo specchio quando lo vide nel suo riflesso. Il sorriso che gli era nato vedendo la chioma bionda entrare da quella porta, sparì all'istante quando si accorse del suo viso, i quali muscoli erano contratti in una smorfia di rabbia misto al dolore. Le braccia erano libere lungo i fianchi e alla luce delle candele della sua stanza, quando avanzò verso di lei, riuscì a scorgere il cuoio del frustino. Sgranò gli occhi, alzandosi di colpo dalla toeletta per fronteggiarlo.

Deglutì silenziosamente, cercando di non sudare freddo e soprattutto di non far tremare la voce.

"Sei tornato! Credevo ti fosse successo qualcosa, non è mai arrivata una tua missiva." Disse lei, avvicinandosi a lui, con tutta l'innocenza possibile che il suo tono e il viso possedevano.

"Perché non le ho mai scritte." Fu la secca risposta che ottenne. Glaciale, fredda e incolore. E a tratti, avrebbe osato definirla, anche minacciosa.

"Sono felice che tu stia bene, eravamo in pensiero."

Arn inclinò la testa di lato, fingendosi sorpreso, ma l'aria tenebrosa e minacciosa non abbandonò mai il suo volto. "Sul serio?"

"Certo che sì. Come sta Edward? Ho pregato tanto per lui, in questi giorni. Non vedo l'ora di abbracciarlo." E fece per superarlo, diretta alla porta con l'intento di andare nell'atrio e riabbracciare il nipote.

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