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Osservai il petto di Finnick alzarsi e abbassarsi placidamente, la sua pelle abbronzata si era fatta pallida sotto le fredde luci della stanza d'ospedale. 

Ci trovavamo tutti a Capitol, apparentemente in salvo. Inutile dire che non mi sentivo affatto al sicuro. Mi guardavo intorno ansiosamente, in continua allerta; non ancora in grado di abbassare la guardia e abbandonarmi alla consapevolezza che nessuno avrebbe più fatto irruzione e ci avrebbe feriti.

Ovunque guardassi c'era un ricordo. Scene di una vita passata e lontana che passavano davanti ai miei occhi. 

Quando eravamo arrivati alla villa di Snow, il dottore si era preso carico di Finnick, sottoponendolo a cure che non sapevo neanche nominare, sorpreso che fosse ancora vivo e parlasse. Tutti i suoi tagli erano profondi e la quantità di sangue fuoriuscito era allarmante. Aveva soltanto dormito negli ultimi due giorni, eppure sapevo che prima o poi si sarebbe svegliato.

La madre di Katniss entrò, aveva gli occhi rossi e assenti da quando avevamo scoperto che Prim era morta nei bombardamenti. 

"Cypress, puoi seguirmi?" Annuii, strinsi la mano di Finnick, che non ricambiò. I dottori dicevano che la perdita di sangue era stata talmente ingente che la sua vita era appesa ad un filo ma guardandolo riuscivo soltanto a pensare al suo risveglio. Quando si sarebbe svegliato lo avrei baciato fino a togliergli il respiro e allora saremmo stati veramente liberi, con tutta una vita di fronte a noi, da affrontare insieme.

Attraversammo corridoi bianchi infestati dal tipico odore di disinfettante degli ospedali. Aprii la porta di fronte a me e i miei occhi caddero su un bambino che, seduto a terra, giocava in un angolino con i mattoncini colorati. Li maneggiava con delicatezza e calma, studiandone i colori.

Leo Norwood.

"Si è svegliato due giorni fa, ha chiesto un volto che riconosce." Si voltò verso di me la madre di Katniss. "Non mi riconoscerà. Lo conosco appena." Lo fissai persa mentre continuava a costruire, assalita da emozioni contrastanti.

"Prova." Mi strinse la spalla e se ne andò, schiva e silenziosa come era arrivata.

Feci un respiro profondo e mi avvicinai, gli occhi lucidi e le mani tremanti dall'emozione.

"Ciao, L... Leo." Stirai un sorriso. Mi guardò spalancando i suoi occhioni verdi, potevo notare come la sua mente stesse cercando di comprendere dove mi avesse mai visto. "Mamma e papà?" Scossi la mia testa tristemente al pensiero di Roland e Blossom. "Li conosco." Affermai gentilmente. "Dove sono?" 

La mia gola iniziò a bruciare. "Cosa stai costruendo?" Cambiai discorso sperando di distrarlo, non potevo spiegargli della morte, aveva solo tre anni. Almeno così diceva il grafico.

"Casa. Casa mia." Mi spiegò. "Sembra grandioso." Mi chinai sedendomi a gambe incrociate sul pavimento.

Si era tolto il lungo camice bianco  e le bende che gli avvolgevano il piccolo torace erano in bella vista. "Brucia." Si lamentò con una piccola smorfia. "Che cosa?" Indicò la garza con il ditino. "Fuoco. La mamma mi ha abbracciato. Poi se n'è andata. Sai dov'è?"

Mi fissò spaesato. Mi incantai, era un mix perfetto tra Blossom e Roland.

Aveva gli stessi occhi verde bosco di Roland, contornati da folte ciglia scure che rendevano il suo sguardo ancora più tenero, e la carnagione dorata di Blossom, e un sorriso come quello di Leo, il mio Leo. 

"I tuoi genitori, uhm." Soffocai un singhiozzo. "Non sono qui." "Dove sono?" Una lacrima rigò le mie guance. Si alzò e mi asciugò la guancia con la manina paffuta, concentrato. 

Brute // Finnick Odair (traduzione italiana)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora