21.

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La pioggia cadeva sottile e fitta dal cielo plumbeo, smorzando qualsiasi rumore non fosse il suo costante scrosciare.

James se ne stava a guardare Tremorvoren House che lo ricambiava triste su quello sfondo tanto malinconico, le finestre buie che parevano emettere un muto urlo di dolore che gli riecheggiava nel petto.

I piedi erano incollati al ghiaietto del sentiero, non riusciva a muovere mezzo muscolo, oppresso dalla pioggia battente, che lo schiacciava con il peso di una montagna, e da quella grande casa vuota come lui ormai. Fradicio dalla testa ai piedi, stava immerso con i vestiti scuri e pesanti per il rovescio in una pozzanghera sempre più larga, ma non vi fece caso, non gli importava.

Niente avrebbe più importato.

Gli occhi grandi e turchesi della madre, appannati per la febbre, che lo cercavano per dirgli quelle cinque parole tanto importanti: "prenditi cura di tuo fratello".

«Sì, madre mia.»

Il sorriso stanco e tirato, di chi ha adempiuto al proprio dovere. «Bravo, Jamie.»

Era spirata pochi minuti dopo.

Le aveva fatto quella promessa in letto di morte, eppure ora era lì da solo.

L'immagine degli occhi spalancati dal terrore di Sammy prima che scivolasse in mare gli si presentò con la forza di uno schiaffo in pieno volto, e, stringendo la mano tanto forte da far sanguinare il palmo, gridò frustrato per la rabbia.

«Ve l'avevo promesso!» urlò serrando gli occhi, le ginocchia che tremolarono nello sforzo di non cedere e farlo cadere a terra. Se fosse caduto, non si sarebbe più rialzato: si sarebbe lasciato liquefare da quella pioggia crudele, permeando di dolore e frustrazione i terreni di quella casa che tanto aveva amato.

Non ce la faceva a varcare quella soglia, non ne aveva la forza.

Dopo un tempo che gli parve interminabile, si voltò piano dando le spalle ai propri ricordi più cari e si allontanò lento a spalle curve, piccola figura indistinta nelle intemperie.

James si sorprese di quante cose fossero cambiate da quel momento di molti anni prima, mentre osservava ora Tremorvoren House, soffusa della luce calda del tramonto, la pietra grigia che sembrava riflettere parte di quello splendore rossastro di cui era circondata come un'aureola benevola.

Rimase a guardare le finestre già illuminate da cui si scorgevano figure affaccendarsi all'interno, e lasciò che la frustrazione di quell'ennesima giornata infruttuosa defluisse. Poi si trovò a respirare a pieni polmoni l'aria fresca di inizio serata, carezzando distratto il collo caldo del cavallino che sbuffava, impaziente di dissetarsi e sgranocchiare qualche mela.

«Buonasera capitano.» La figura furtiva di Kenneth MacLeod arrivò veloce, come se fosse sbucato fuori dai cespugli di ginestrone, mimetizzandosi con i vestiti verde scuro e marrone, e si allungò a prendere le redini della cavalcatura permettendogli di scendere.

«Buonasera a voi, Mr MacLeod» ricambiò il saluto, sollevato di non dover correggere almeno lui dal farsi chiamare "milord". «Dategli una bella strigliata che oggi l'ho fatto correre parecchio.»

«Aye, va bene così, bisogna lasciar correre Dash in modo che si sfoghi.»

Si fermò per osservare incuriosito il minore dei MacLeod che conduceva il cavallo verso le scuderie con una serie di schiocchi della lingua e basse parole in gaelico. «"Dash"?»

La punta del lungo naso dritto del giovane si tinse di un lieve rossore mentre, nervoso, faceva vagare gli occhi dal taglio felino tutt'attorno. «Oh... aye, lo avevo soprannominato così mentre venivamo qua, giusto per non chiamarlo "cavallo" e basta, ma voi potete dargli il nome che preferite.»

Of Seamen and Maidens - LUNA NUOVA E ALTA MAREADove le storie prendono vita. Scoprilo ora