Lacrime e farfalle

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Parigi, 3 Agosto. Mancano poche ore ai quarti di finale e il sole brucia, quasi quanto a Tiaret.
Bruciano anche le lacrime che scivolano silenziose sul volto di Imane, ancora stesa sul letto singolo della piccola, caldissima stanza del villaggio olimpico.
Il sogno di una vita, quello di una medaglia, si è trasformato nel peggiore degli incubi. Una caccia alle streghe di cui la giovane campionessa di boxe è divenuta protagonista.
"La pugile iper androgina batte Angela Carini in 46 secondi", "L'atleta intersex Khelif va dritta ai quarti finale" sono solo alcuni dei titoli dei principali quotidiani in Europa. Ancora più impietosa la gogna social, al grido di "Uomo che picchia le donne sul ring", "Vigliacco", "Ingiustizia".

Imane si era sempre sentita diversa dalle altre ragazze del piccolo villaggio algerino di Tiaret dove era nata e cresciuta, ma mai avrebbe immaginato che il suo corpo sarebbe diventato quello di una cavia esaminata minuziosamente al microscopio. All'improvviso, tutto il mondo non faceva che parlare dei suoi muscoli, dei suoi tratti somatici, dei cromosomi, XX, XY, di presunti risultati di test genetici che la decretavano uomo. Un uomo infiltratosi con l'inganno nella boxe femminile.
Cosa avrebbe potuto fare ora Imane, a un passo dalla conquista dell'oro? Ritirarsi non era un'opzione, e non lo era neppure perdere.
O meglio, lo sarebbe stata per qualcuno, ma non per lei, che più di ogni altra aveva speso lacrime e sudore per salire su quel ring alle Olimpiadi di Parigi.

La ragazza si asciuga il viso e finalmente esce dalla sua stanza, senza il telefono che il suo coach, come un padre amorevole e severo, le ha sequestrato fino alla finale: "Smetti di leggere quell'immondizia, devi chiudere quei maledetti social e concentrarti sull'obiettivo".
Anche Imane sa bene che ora serve solo spegnere i pensieri, e fare un buon pasto proteico per affrontare il match delle 17 contro l'ungherese Hamori.

Ad attenderla fuori dal villaggio c’è la concittadina e migliore amica di sempre, Roumaysa, anche lei promessa della boxe nei pesi piuma. L’avventura olimpica per lei era già terminata, non ce l'aveva fatta a qualificarsi per le finali, ma era rimasta a Parigi per dare supporto all’amica fino alla fine.
"Facciamo una passeggiata al parco e poi fermiamoci a mangiare il pranzo che ti ho preparato, non hai speranze di vincere col cibo spazzatura della mensa" dice la ragazza rivolgendosi a Imane come un tono a metà tra quello di una madre e quello di una fidanzata premurosa.

Roumy è una ragazza minuta, alta appena un metro e sessanta, con lunghi capelli castani, e lineamenti così delicati che pare impossibile che sia anche lei una tigre da ring.
Sembra ancora più minuta mentre cammina accanto all'amica, che la supera in altezza di ben 20 centimetri. Imane indossa i pantaloni della sua tuta verde preferita, e una maglia con taglio maschile che mette in evidenza il fisico forgiato da anni di duro allenamento in palestra e in montagna.
Le braccia lunghe e muscolose, le spalle larghe, gli ampi pettorali su cui poggia un seno appena accennato, stretto in una fascia affinché sparisca completamente.

"Allora Iman, come stai? Sei pronta per stasera?" le chiede Romy con uno sguardo che nel frattempo si è fatto più serio.
"Ora sto bene,ma ho pianto fino al tuo arrivo. Stamattina volevo andarmene, tornare a Tiaret.
Poi ho pensato a papà, ai miei fratelli, a chi mi ha sempre sostenuto. E a te. Per questo voglio vincere".

"A te"...Quelle due piccole insignificanti parole, per Romy significano il mondo.
Negli anni aveva imparato a tenere a bada le farfalle, a legar loro le ali, ogni volta che vedeva Imane andarle incontro coi suoi grandi occhi neri o sentiva la sua voce.
Uomo e donna, questo è l'unico amore possibile, si ripeteva Roumaysa. E la sua Iman non era un uomo, nonostante le accuse che le erano state mosse dall'associazione internazionale di boxe.

Il tempo scorre velocemente, tra chiacchiere per alleggerire l'atmosfera e aneddoti che richiamano gli anni passati insieme a soffrire e gioire.
Imane guarda Roumaysa, e le pare incredibile che sia sempre lì per lei, con il suo immenso sorriso e quel viso da bambina. Anche ora che non si allenano più nella stessa categoria, anche ora che a 29 anni non è più la ragazzina di Tiaret, ma una donna in età da marito. Lì come una sorella, come una madre...O come una moglie?
No, non come una moglie Imàn, non è il momento di pensare a questo. E poi è haram.
La donna sa che è ora recuperare la concentrazione e prepararsi per il match. Saluta Roumy con un'energica carezza sulla testa e gira le spalle, senza dire una parola.



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