L'ascesa

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La domanda di Imane, quel “Tutto a posto?” non aveva mai avuto risposta.
Roumy aveva alzato leggermente la testa, quel tanto che bastava per raggiungere le sue labbra, già così vicine, e l’aveva baciata. Un bacio profondo, che la esplorava con la foga di chi da tempo cercava qualcosa, e finalmente l’aveva trovata. Imane la aveva ricambiata subito, se possibile con intensità ancora maggiore. Aveva sollevato la ragazza da terra, accompagnandola con una mano dietro la schiena, per far sì che tra i loro corpi non restasse più spazio.

Dopo qualche minuto, quando l’eccitazione era arrivata al punto massimo, Imane aveva osato di più. Aveva posato una mano sul ginocchio di Roumayasa e aveva fatto per portarlo verso l’esterno, per divaricarle le gambe.
Lei, però, l’aveva fermata. Si era spostata lateralmente, per poi alzarsi in piedi.
“È tardi, vado a cambiarmi”, aveva detto. Parole scelte a caso per interrompere quel momento, per tornare con i piedi per terra.
Roumayasa sentiva di essere già andata troppo oltre, e il suo corpo che ancora fremeva di desiderio le rimandava anche un'altra sensazione. La vergogna.

Nessuno le aveva viste. La palestra, a quell'ora, era vuota. Ma Dio vedeva tutto, sapeva tutto, e questo bastava a far sì che Roumy volesse cancellare quanto accaduto il prima possibile, giustificandolo a sé stessa come un momento di debolezza, di confusione.
Imane no, lei non avrebbe cancellato niente. Probabilmente avrebbe sfidato il suo stesso Dio per poter vivere quell’amore. Ma aveva troppo rispetto di Roumayasa, e aveva capito che lei non era pronta, che probabilmente non lo sarebbe mai stata.

Quel bacio appassionato in palestra era stata l’unica deviazione nel lungo cammino di amicizia tra Imane e Roumayasa. Rimettersi in carreggiata non era stato semplice, per nessuna delle due. C’erano stati silenzi, sguardi che per non incontrarsi cadevano a terra, quegli allenamenti che non erano più così frequenti. Pian piano, però, l’affetto che legava le due giovani donne aveva avuto la meglio, e tutto era tornato - quasi - come prima.

Imane, di lì a poco, avrebbe disputato il suo primo match ufficiale. Il primo di una lunga serie, che le avrebbe aperto la strada verso una brillante carriera, fino all’argento ai Campionati Mondiali di Boxe Femminile a 22 anni. Un risultato storico per l’Algeria, che iniziava a voler bene a Imane, a considerarla una figlia del popolo.
Qualcuno la invitava ancora a pentirsi di voler somigliare così tanto a un ragazzo, la incitava ad indossare il velo. Ma per la maggior parte dei connazionali era amore incondizionato.

L'ascesa di Imane aveva subito un primo intoppo nei due anni precedenti alle Olimpiadi di Parigi, quando il presidente dell' Associazione Internazionale Boxe Femminile l'aveva squalificata dal mondiale di Nuova Delhi, citando un test genetico che, di fatto, la dichiarava uomo.
Imane era diventata troppo forte, troppo scomoda, soprattutto dopo la vittoria contro l’atleta di punta della Russia.
Nessuno aveva mai visto i risultati di quelle fantomatiche analisi, e la venticinquenne Imane era stata ammessa dal Comitato Olimpico al torneo di Parigi. Era idonea a partecipare, ma ciò non era sufficiente. Le voci di quella precedente squalifica, avvallate dall’aspetto androgino dell’atleta, si erano diffuse rapidamente. In molti avevano cavalcato l'onda di uno scoop così ghiotto, incuranti degli effetti devastanti che ciò avrebbe avuto su Imane.

Roumy, che nel frattempo si era distinta nella categoria dei pesi piuma, le era sempre rimasta accanto, l'aveva difesa strenuamente contro il mondo, proprio come quando l’aveva appena conosciuta. Ma quella rivelazione inaspettata, la sua Imane che si era scambiata effusioni con una donna (una che non fosse lei) adesso è troppo da sopportare.

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