La malattia e la cura

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Imàn, mi senti?” - La comunicazione è disturbata dallo scarso segnale - “Per favore rassicura la mamma, è qui accanto a me”.
Amid informa la figlia che Nasria è stata nuovamente ricoverata in ospedale a causa dello stress, dopo essere venuta a conoscenza delle foto ritoccate che ritraggono Imane a torso nudo, con il corpo di un uomo.

“Mamma, bisogna farci l’abitudine, non puoi fare così ogni volta. Non devi preoccuparti per me” - Imane si sta abituando al bullismo mediatico, a considerarlo come il prezzo del suo successo; ma non riesce ad accettare che a rimetterci sia la reputazione e la serenità della sua famiglia.

“Torniamo in hotel, inizia a fare fresco” - Roumayasa posa sulle spalle di Imane la felpa che portava legata in vita. Sa leggere a memoria i suoi occhi, e comprende che è più preoccupata di quanto non voglia dare a vedere.
Il viaggio in macchina procede nel silenzio più totale, fin quando Imane non scoppia in lacrime.
“Perché a me, Roumy? Io posso sopportare tutto questo, se Dio vuole, ma la mia famiglia non lo merita”.
“Non lo so Imane, ma neanche tu lo meriti”. Roumy le stringe la mano: sa che nulla di quanto potrebbe dire o fare cambierebbe la situazione.

Al rientro in hotel Imane si spoglia frettolosamente gettando a terra i vestiti di Simon; l’unica maschera della quale al momento può liberarsi.
Senza dire una parola si dirige verso il bagno, e fa scorrere l’acqua della doccia. Roumy sa che Imane, quando non ha impegni sportivi e una sveglia alle 5 del mattino, si prende il suo tempo: si rilassa sotto l’acqua bollente, come in un rituale di purificazione dai pensieri. Si asciuga lentamente i capelli con il phon, per sentirne più a lungo il rumore, che la isola dal mondo.

Uscita dal bagno, Imane non trova Roumy, né il suo piccolo trolley. Al suo posto, una notifica WhatsApp sul telefono.

“Imane, io ti amerò per sempre. La mia anima e i miei pensieri saranno sempre con te, ma non posso farti questo. Non posso fare del male a te, e neanche a tua mamma, che in questi anni mi ha accolta come una figlia. Preferisco essere infelice che saperti infelice. Non possiamo stare insieme, ma i momenti in cui lo ho creduto sono stati i più belli della mia vita”.

Roumayasa aveva capito cosa il mondo stava chiedendo a Imane: essere una donna femminile, eterosessuale. Farsi scoprire assieme a lei sarebbe stato l’inizio della fine, l’ultimo passo prima della persecuzione, della distruzione di Imane.
E questo non poteva permetterlo.

Imane in un impeto di rabbia dà un pugno al muro, poi lancia a terra il telefono e lo calpesta fino a ridurlo in mille pezzi.
Nella sua mente, è lì dentro il seme della sua sofferenza, dell'abbandono di Roumayasa. È nei social che le hanno tolto il sonno; che hanno dato a tutti libertà di parola, di entrare nella sua vita senza chiedere permesso e di ridurre lei stessa in frantumi.

La causa del male, però, è anche il suo antidoto. Quando Imane si tranquillizza, tira fuori dalla valigia il vecchio telefono di scorta e cerca compulsivamente il suo nome sui social: #Imanekhelif #Imaneedits #Imanies. “Imanies”, così si erano chiamate le sue fan, impazzite per lei. Da quando tutto era cominciato, Imane non si era lasciata sfuggire un singolo video, commento o foto che le veniva dedicato, pur senza interagire. Le piacevano i messaggi di ammirazione “Sei la nostra eroina, un’ispirazione per le donne”, ma anche quelli più piccanti, che nutrivano il naturale bisogno di sentirsi amata e desiderata che mai nella sua vita era stato davvero appagato. Quegli apprezzamenti erano la sua droga, il suo rifugio dal mondo reale, soprattutto nei momenti di sofferenza.

“Baby, sei la persona più attraente che abbia mai camminato su questa terra”. Imane apre il profilo di Ashley, una giovane ragazza americana dai lunghi capelli biondi.
“Questo non è possibile, visto che ci cammini anche tu” - Imane, per la prima volta, risponde al messaggio privato di una sua fan. Una sofferenza come l’abbandono di Roumayasa richiede di aumentare la dose.

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