Figlia dell'Algeria

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C'era un motivo se Imane non si era lasciata spogliare completamente da Anna. Non amava essere toccata, non nella maniera in cui si tocca una donna, penetrandola con le dita, o peggio.
Anna era una sconosciuta, non poteva saperlo, né Imane voleva istruirla. Tanto se ne sarebbe andata, sparita nel pomeriggio, su un volo per l'Ungheria. Forse di lì a breve avrebbe sposato il suo fidanzato, messo al mondo due o tre bambini, e si sarebbe ritirata dalla boxe. In ogni caso se ne sarebbe andata. Come tutte le altre donne, destinate a essere di passaggio, a ricordare Imane come una piacevole trasgressione, come quello strano sogno erotico che fa vacillare ogni certezza. Fino al prossimo sogno, fino a che la vita non ti rimette sui binari e non va avanti verso ciò che è "halal". Consentito, giusto. Naturale.

Imane, il più delle volte, si limitava a questo. Dare piacere alle donne che la desideravano, senza quasi nulla in cambio. Le piacevano le donne belle, femminili. Bionde, more, non importava. Anche le donne con il velo, figlie ribelli della sua Algeria.
La prima ad aver attirato la sua attenzione era stata una ragazza di due anni più grande, Farida, quando Imane ne aveva appena 13. Giocava ancora a calcio a Tiaret, in mezzo ai suoi coetanei. Maschi.
Quei ragazzini la avevano accettata come una di loro. Avevano capito più di quanto non avrebbe potuto capire qualsiasi adulto, compresa la madre di Imane, che non si rassegnava.

Nasria, al tempo, avrebbe voluto che la ragazza imparasse a fare meglio il cous-cous, che andasse a venderlo con lei al mercato. Come si conveniva a una brava figlia, una figlia femmina. Ogni tanto provava a metterle lo smalto alle unghie, ad agghindarla con un vestito tradizionale, almeno quando i nonni e gli zii erano in visita a casa. Imane, che odiava quel rituale, all'inizio aveva provato a ribellarsi, persino a scappare di casa, ma le lacrime della mamma ogni volta le impedivano di andare fino in fondo. Aveva deciso che poteva lasciarselo fare, ogni tanto, a patto che il giorno seguente avesse potuto indossare di nuovo la sua tuta da calcio e il berretto, posato sui capelli tagliati cortissimi.

Era stato il padre a comprarglielo, insieme al borsone e a tutto il necessario per il calcio, come premio per aver ottenuto ottimi risultati a scuola. E perché in fondo Imane era una figlia per bene, che aiutava in casa e non si lamentava mai.
Amid aveva acconsentito che la ragazzina, appassionata di sport dall'età di 6 anni, giocasse a calcio, dapprima con gli amici di scuola, poi come parte di una vera squadra, iscrivendola a una scuola di calcio. Per farlo aveva dovuto fare molti sacrifici, e affrontare non poche discussioni con Nasria, donna tradizionale fino al midollo. A partire da quell' hijab che Imane, al contrario, non avrebbe mai indossato.

Amid, però, non era troppo preoccupato. Non ancora.
La figlia aveva i capelli corti, ed era più alta persino dei suoi coetanei maschi. Nessun ragazzo, per lungo tempo, la avrebbe importunata. Fino a che non fosse stata in età da marito, e lì tutto sarebbe cambiato, sarebbe stata la stessa Imane a volersi rendere più femminile. O almeno, così gli piaceva pensare.

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