Il compleanno

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Quell'episodio era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso per Amid e Nasria. Era urgente che Imane smettesse di giocare a calcio, di stare in compagnia dei maschi, di fare a botte con loro. “Il calcio non è uno sport per ragazze”, aveva chiosato il padre, senza sapere che di lì a poco la figlia, dopo aver posato il pallone, avrebbe indossato i guantoni.

La storia della giovane Imane che manda in ospedale un ragazzo era arrivata anche alle orecchie di Fatma, ricordandole quanto accaduto tre anni prima con Mohammed e, soprattutto, quel bacio. Un bacio che aveva replicato a lungo nelle sue fantasie, ma a cui non aveva mai avuto coraggio di dare alcun seguito. Quel giorno era scappata e, una volta rientrata a casa, aveva pregato e si era ripromessa di non farlo mai più.
Fatma era riuscita a mantenere la promessa, a salutare Imane solo da lontano, o a non salutarla affatto, quando andava al campetto ad assistere alle partite del fratello. Fino a quel momento.

“Imane, perché non vai anche tu al compleanno di Khadidja? Ci saranno tante ragazze, potresti fare amicizia con loro, entrare nel loro gruppo” aveva detto Nasria alla figlia una sera d’estate. Quelle ragazze devote, quelle ragazze normali, avrebbero potuto rappresentare l’esempio che occorreva a Imane, istruirla su come essere donna.
“Mamma, ti ho già detto che non ho voglia, nemmeno le conosco bene. E poi non mi hanno invitato, perché dovrei andarci?” aveva replicato la giovane, che già si era preparata a trascorrere un’altra serata solitaria, in compagnia dei suoi pensieri e della sua musica.
“Sì che ti hanno invitato, è per questo che te lo sto dicendo. È passata la zia di Khadidja a chiedermi personalmente se saresti andata. E le ho già detto di sì”.
Imane era sempre stata una ragazza determinata, forte, e puntigliosa. Ma la mamma era il suo punto debole. Avrebbe voluto essere amata da lei incondizionatamente, ma sentiva che ciò non era possibile, che scendere a qualche compromesso era il male necessario per assicurarsi almeno un po' dell'affetto e della benevolenza di Nasria. Per questo aveva deciso, a malincuore, di accondiscendere alla richiesta della madre.

Varcando la porta di casa di Khadidja, Imane era rimasta piacevolmente sorpresa. Tanto per cominciare, era una vera porta, di quelle che si chiudono con la chiave. Non come la porta di casa sua.
E le sorprese continuavano all'interno: un tappeto tradizionale finemente decorato all'ingresso, vasi e oggetti d’arte di ogni genere sui mobili di legno lucido, un ampio salone con un altrettanto ampio divano poco più avanti.

“Moshed Dayan Imàn, benvenuta”.
La madre di Khadidja aveva accolto calorosamente la giovane e la aveva invitata ad accomodarsi in salone assieme alle altre ragazze. Una sola occhiata era bastata a Imane per sentirsi un pesce fuor d’acqua, tanto da non sapere neppure come muoversi o dove rivolgere lo sguardo. Dopo un breve saluto generale si era accomodata su un’ampia poltrona verde, che le era sembrata una scelta preferibile al sedersi sul divano che era dal lato opposto, insieme alle altre ragazze.
Le erano apparse tutte bellissime, avvolte nei loro abiti tradizionali di seta, qualcuna con il velo, qualcuna con i lunghissimi capelli sciolti. In casa, tra donne, tutto era concesso.

In quel quadro Imane era davvero una nota stonata, tanto che gli sguardi di Khadidja e delle altre, intente fino a quel momento a chiacchierare animatamente, in breve erano già tutti puntati su di lei.
La ragazza non indossava il suo abito tradizionale migliore per l'occasione, né aveva lunghi capelli a fare da cornice al suo volto. I folti capelli scuri li portava corti, con la riga laterale e qualche ciuffo ribelle che ogni tanto doveva spostare dagli occhi. Quegli occhi dal taglio allungato, grandi e nerissimi, che parlavano più di quanto non parlasse lei.
L’abbigliamento non era da meno. Imane quel giorno indossava la maglia della nazionale di calcio dell'Algeria, che le lasciava scoperte per metà le braccia con una muscolatura già sviluppata, e pantaloni della tuta, con le immancabili scarpe da ginnastica.

Ad interrompere l’imbarazzo di Imane ci avrebbe pensato il suono del campanello.
“Moshed Dayan, Fatma”. Era arrivata anche lei.

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