Capitolo 8.

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Nella foto, Anita De Longhi. 



Alle tredici in punto suonò la campanella della fine delle lezioni. Nadia mise il quaderno degli appunti nello zaino e si preparò a uscire dalla classe. Il primo giorno di scuola al Machiavelli era appena trascorso, lento e traumatico, e già non vedeva l'ora che arrivasse il fine settimana. Sospirò e si diresse verso il corridoio principale, con la speranza di uscire da quel posto il prima possibile.

«Dove stai andando?», le chiese Diego, affiancandola all'improvviso poco prima della rampa di scale. L'aveva puntata con lo sguardo non appena era uscita dalla classe e aveva accorciato le distanze con dei passi rapidi.

Nadia irrigidì le spalle e si voltò verso di lui, sorridendogli educatamente. «A casa, direi. Sono finite le lezioni del giorno.»

«A casa? Così presto?» Lui rise, sollevando le sopracciglia all'insù.

«Perché, voi cosa fate dopo le lezioni?»

«Spesso pranziamo insieme, oppure andiamo al bar. Hai mai provato i panini dello zozzone? Sono qualcosa di speciale.»

«No, ma in ogni caso non credo di potermi trattenere.» Nadia rifiutò l'invito e strinse la cinghia dello zaino.

«Qual è il problema, Savini?» Diego le poggiò una mano sulle spalle con nonchalance. Quel ragazzo sembrava sicurissimo di se stesso, quanto schietto e senza peli sulla lingua. «Non ti sto simpatico? Credevo che ti facesse piacere un po' di gentilezza da parte di qualcuno, visto il resto del corpo studentesco del Machiavelli ti ha preso per il culo per via della borsa di studio e della scuola pubblica.»

Nadia avvampò e si schiarì la voce, sotto pressione. «No, non è per quello. È solo che... Non ho avvertito mio padre», ribatté. «Sai, ci siamo appena trasferiti e non vorrei che si preoccupasse per me, se non mi vedesse tornare a casa dopo le lezioni.»

«Andiamo... Lo sai anche tu che questo è solo un pretesto.» Diego si avvicinò a lei e le sfiorò la schiena per direzionarla verso le scale. «Le scopro subito le bugie, io.» Quando arrivarono nell'atrio principale, si unirono a loro anche Elias e Bruno, già con i caschi delle motociclette in mano.

«Allora, nuova arrivata, come ti è sembrato questo primo giorno al Machiavelli?», domandò Elias, affiancandola. «Dimmi che avresti voluto dar fuoco a tutto l'edificio e giuro che ti chiederò si sposarmi seduta stante.»

Nadia rise e uscì dalla porta principale, che si affacciava direttamente sul giardino. «Solo stancante.»

«Stancante?», ripeté Bruno, scuotendo la testa. «Dovresti uscire con noi, una sera. Ti accorgeresti che venire a scuola, in realtà, è molto più rilassante di quanto credi.»

«Smettetela di sparare cazzate.» Diego fulminò i due amici e si avvicinò a Nadia. «Non vogliamo mica spaventarla...» sussurrò al suo orecchio.

Nadia rimase spiazzata e sussultò. Non le piaceva il modo in cui quel ragazzo si appropriava dei suoi spazi, invadendoli come se fossero due amici d'infanzia. Lo trovava del tutto inopportuno. Fortunatamente, a spezzare l'attimo di tensione ci pensarono alcuni degli altri compagni di classe, che li raggiunsero in mezzo al giardino.

Mattia si avvicinò con uno sguardo sprezzante e squadrò Nadia per brevi secondi, come se la volesse uccidere con gli occhi, ma alla fine scosse la testa, in cenno di disapprovazione, e rimase in silenzio.

«Qualche problema, nuova arrivata?» le chiese Lorenzo, sorridendo. «Non dovresti frequentare questi animali da circo.»

Diego fece scrocchiare le nocche delle mani. «Sai cos'è più divertente degli animali da circo, Massa? Spaccarti quella faccia da aristocratico del cazzo che ti ritrovi.»

«Tremo dalla paura, Neri.» Lorenzo fece un passo avanti e lo sfidò con il mento, come a dire "Fatti sotto".

«Ragazzi, ragazzi... relax.» Anita si mise in mezzo e indicò Nadia. «Lasciamo la contadinella toscana con i suoi simili e andiamo al ristorante. Non ho voglia di perdere tempo per questi melodrammi.» Alzò gli occhi al cielo e trascinò via Lorenzo, che stava ancora guardando in cagnesco Diego.

Mattia fu l'ultimo ad andarsene, sempre racchiuso nel suo silenzio pieno di mille, variegati pensieri. Fissò Nadia ancora una volta, con le sopracciglia corrucciate e in disaccordo, ma poi girò i tacchi, raggiungendo il gruppo di amici ai cancelli del Machiavelli.

«Dammi retta, occhi verdi. Non ti mischiare con quella gentaglia», le consigliò Elias, con una mano sulla sua spalla, come a confortarla. «Sono solo in grado di farti sentire una nullità

«Questo credo di averlo già capito...» rispose Nadia, con gli occhi ancora puntati su di loro.

«Allora, ultimo tentativo: vieni a pranzo con noi?» Bruno cambiò nuovamente discorso e provò a far virare la conversazione verso toni più allegri.

Nadia dissentì ancora. «Sarà per un'altra volta, mi dispiace.»

Diego alzò le spalle, noncurante. «Non è un problema, te lo richiederemo domani, o dopodomani. Prima o poi dovrai dirci di sì.» Sorrise e le fece l'occhiolino. «Ci vediamo, bambolì.»

Nadia li vide raggiungere il parcheggio e montare in sella alle loro motociclette, per poi partire con un boato. Quando realizzò di essere finalmente sola, emise un sospiro liberatorio: ogni persona conosciuta durante quella mattinata l'aveva fatta sentire sotto pressione, schiacciata sotto un peso che era riuscita a sostenere a stento. Ma poi, in breve barlume di positività, si era ricordata che ce l'aveva fatta, e anche se il suo primo giorno di scuola le era sembrato interminabile, probabilmente presto sarebbe stata in grado di superarne altri cento.

Sorrise, fiduciosa, e iniziò a camminare con tranquillità verso casa, cercando di ricordarsi mentalmente la strada che aveva percorso quella mattina. Mentre procedeva, con gli occhi fissi sulla sua ombra, sentì il rumore di una macchina che stava decelerando proprio dietro di lei, così rallentò l'andatura e cercò di guardare con la coda dell'occhio, finché non realizzò che l'auto che si era fermata al lato della strada era la stessa che l'aveva quasi investita quella mattina.

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