Capitolo 44.

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       Da piccola Nadia non aveva mai appreso appieno il significato dell'espressione "Avere il cuore spezzato". O meglio, l'aveva sempre intesa in modo metaforico. Ma adesso, a diciassette anni e mezzo, era riuscita finalmente a capirla fino in fondo. Quella frase non solo racchiudeva una sofferenza psicologica, ma anche un dolore fisico in senso letterale. Sentiva di avere il petto vuoto. Il cuore era ancora poggiato sul comodino in mille pezzi, in attesa di essere ricomposto alla bell'e meglio. Si sentiva più sola che mai, delusa dall'unica persona che si era mostrata interessata a lei. Si sentiva ferita.

Nadia aveva passato le intere giornate di sabato e domenica a trascinarsi per la casa, portandosi dietro un velo pesante di tristezza e apatia. Durante quei due giorni, aveva cercato di riflettere a mente fresca sui motivi per cui Mattia avesse potuto cambiare idea da un momento all'altro, ma la risposta non era arrivata: aveva tante ipotesi che le ronzavano in testa, ma sperava che nessuna di queste fosse vera. Sarebbe stato davvero orribile scoprire che Mattia si fosse preso gioco di lei solo per divertimento fino a quel momento. Preferiva credere che in fondo, ma molto in fondo, avesse avuto dei motivi quantomeno logici per allontanarla, dopo aver accorciato le distanze. Ma più ci rifletteva e più dava credito all'ipotesi che quel ragazzo stesse nascondendo qualcosa. Qualcosa che ormai non aveva più intenzione di scoprire.

La ragazza si sedette sul divano con un tonfo e lasciò andare un sospiro sofferente. Chiuse gli occhi e poggiò la testa sul cuscino. Doveva dimenticarsi di Mattia Silvestre, perché il rapporto che era nato tra loro non era niente di più impossibile e sbagliato. E il bacio che c'era stato sotto casa sua aveva soltanto velocizzato il processo per farglielo realizzare. Adesso doveva soltanto convincersi che non aveva provato niente, che Mattia le era indifferente e che tutto quello che era successo era soltanto un errore.

Ma mentire a se stessi era molto peggio che farlo con gli altri.

Guglielmo si sedette accanto a Nadia sul divano e la osservò con il volto inclinato. Teneva il Quotidiano sulle gambe e una tazzina di caffè bollente in mano. «Non sei tranquilla», le disse semplicemente, come se stesse constatando che fuori era una bella giornata.

Nadia si chiese fino a che punto sarebbe servito mentire anche a lui. «Non molto, a dire la verità.»

«È tutta la giornata che ti vedo pensierosa. E triste, aggiungerei.» Guglielmo poggiò la tazza di caffè sul tavolino e ruotò leggermente il busto per guardarla meglio. «Cosa sta succedendo, Nadia?»

La ragazza sussultò, colpita dalla schiettezza della domanda. Avrebbe potuto mentire ancora e restare in silenzio, ma la realtà era che non ce la faceva più a tenersi tutto dentro. Si sentiva come una bomba in procinto di implodere su stessa e per questo le serviva un confidente di cui potersi fidare. Una persona che l'avrebbe ascoltata senza giudicarla. Qualcuno di sincero e confortante. Guardò il padre. Prese un bel respiro e trattenne l'aria nei polmoni per qualche secondo. «Credo di avere sbagliato tutto, papà. Intendo da quando siamo arrivati a Roma», disse alla fine, socchiudendo gli occhi.

Guglielmo posò il giornale accanto a sé. «Ti va di parlarne con me?»

La ragazza annuì in silenzio. «La verità è che non sono riuscita ad ambientarmi bene a scuola. Ci ho provato in ogni modo, ma non ce l'ho fatta.» Spostò lo sguardo fuori dalla finestra e scosse la testa. «Al Machiavelli hanno tutti la puzza sotto al naso e mi hanno etichettata da subito come la poveraccia che viene dalla provincia. Persino i professori mi trattano diversamente. L'unica materia in cui riesco bene è letteratura. Ma tu sai che è la mia preferita e la professoressa non può negare le mie capacità.»

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