Capitolo 47.

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Nadia non aveva idea di dove si trovasse Mattia in quel momento, così passò dall'uscita di emergenza laterale per evitare di attraversare l'ingresso principale, dove la segretaria avrebbe avuto da ridire sull'orario poco consono per farsi una passeggiata.

Quando uscì fuori, una folata di vento gelido la colpì in pieno volto, scompigliandole i capelli dalla coda. Si strinse nel maglione di lana, con la speranza che potesse ghermirla dal freddo, e ispezionò il giardino velocemente: di Mattia non c'era traccia. Sospirò e provò a chiamarlo ad alta voce più volte, senza però ottenere alcuna risposta.

Rabbrividì ancora e s'incamminò verso la parte anteriore del giardino. «Dove sei, Mattia?» disse tra sé e sé, con la preoccupazione aggrappata al petto.

Alla fine, proprio quando stava per abbandonare l'idea di trovarlo ancora all'interno dei confini del Machiavelli, lo vide: era poggiato con la fronte a un albero e teneva le palpebre chiuse, come se volesse eliminare ogni forma di contatto con il mondo esterno. Una mano era posata sul tronco, mentre l'altra era stesa lungo il fianco, inerte.

Nadia squadrò attentamente la quercia. Quella scena le risultava vagamente familiare. Reclinò appena un po' il volto, poi capì: Mattia era appoggiato allo stesso albero dove lei si andava a rifugiare durante i suoi primi giorni di scuola. Vederlo lì la fece stupire: il giardino del Machiavelli era gremito di alberi, di tutti le forme e tipologie, ma entrambi avevano scelto lo stesso. Entrambi si erano rifugiati sotto la chioma semispoglia di quella grande quercia. Doveva per forza significare qualcosa.

Sorrise e si avvicinò al ragazzo cercando di non fare troppo rumore. Sembrava tranquillo, ma era evidente che la sua fosse solo una facciata. In realtà dentro di lui c'era un mare in tempesta. «Mattia...», lo chiamò piano, come se lo stesse svegliando da un brutto sogno.

Il ragazzo si irrigidì all'istante, ma tenne ancora gli occhi chiusi. Aggrottò le sopracciglia e rimase per un attimo con il respiro incastrato nel petto. «Nadia, tornatene in classe o ti beccherai anche una nota per colpa mia.»

«Forse non hai capito che non me ne frega niente delle note e dei professori. Io sono qui per te e non ho intenzione di andarmene.»

Mattia aprì di scatto gli occhi. Stentava a credere che potessero essere davvero di Nadia quelle parole così cariche di decisione e asprezza. Sollevò le palpebre e se la vide a mezzo metro di distanza, con la mano poggiata al tronco dell'albero. Era chiaramente nervosa e una piccola ruga di espressione le solcava la fronte. Teneva il viso leggermente inclinato e i capelli raccolti nella coda le sventolavano accanto al collo, mossi dal vento. Il maglioncino verde scuro le metteva in risalto gli occhi, tanto grandi quanto belli. Per l'ennesima volta si trovò a contemplare la sua bellezza, così semplice e delicata... Sembrava dipinta con un pennello.

Alla fine chiuse di nuovo le palpebre, deglutendo forzatamente. Erano troppo vicini e sarebbe stato difficile mantenere le distanze da lei, sebbene dovesse farlo. «Vattene, Nadia», ribadì sospirando.

«Smettila di evitarmi e guardami», gli ordinò lei, serrando la mandibola. Non ne poteva davvero più di quell'atteggiamento freddo e impersonale.

Mattia imprecò a bassa voce e si allontanò dall'albero, aprendo finalmente gli occhi e obbedì e specchiandosi nel riflesso di quelli di Nadia. Prese un respiro ampio e lo trattenne, gonfiando il petto. Doveva resistere alla tentazione di annullare le distanze e stringerla in un abbraccio, chiederle scusa per tutto quello che le aveva fatto e baciarla. Dopo la loro ultima discussione, Nadia sembrava essersi trasformata in qualcosa di nuovo: era come se, baciandola sotto casa sua, le avesse trasmesso tutta la sua forza e testardaggine, facendola diventare una roccia solida, ma riducendo in polvere lui.

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