Capitolo 3.

23.3K 1K 104
                                    



   La visione che Nadia ebbe all'inizio fu quasi traumatizzante. Quello che si trovavano di fronte non era un edificio era a tre piani, con le mura in cemento grigio, ormai scrostato e scurito dallo smog. Diverse crepe partivano dalle finestre e percorrevano tutta la superficie della facciata, dandole un aspetto tetro e triste. Tutto intorno, il palazzo era contornato da un'esile inferriata per delimitare i confini della proprietà, e un alberello spoglio se ne stava davanti al cancello d'ingresso, abbandonato alla malora.

«Cosa te ne pare?» chiese il padre, mentre scaricava le prime valigie dall'auto.

«Devo essere sincera?»

«Se essere sincera implica un giudizio negativo, sentiti libera di mentire.»

«Allora è una splendida palazzina, ben curata e in tono con la zona in cui ci troviamo.» Nadia sorrise, anche se non si sentiva per niente allegra.

«Ecco l'ottimismo che cercavo! Vedrai come resterai soddisfatta dopo che avrai visto gli interni...»

Nadia sospirò. «Non vedo l'ora, papà.»

Guglielmo aprì il cancello del palazzo ed entrò nell'atrio. Subito si percepì un odore di stantio, che Nadia ignorò volutamente, seguendo il padre fino alla rampa delle scale.

«Guarda che c'è l'ascensore», lo chiamò, quando lo vide fare i primi scalini.

«Ah, quel pezzo di ferro...» Lui si voltò con un gran sorriso e scosse la testa. «Il proprietario del palazzo ha detto che è fuori uso da quasi vent'anni.»

«Ma certo», borbottò lei, «me lo sarei dovuto aspettare.»

Fortunatamente, il loro appartamento si trovava al primo piano, quindi la fatica di salire la rampa con le valigie fu limitata. Non appena Guglielmo aprì la porta d'ingresso, la ragazza si trovò davanti la personificazione della confusione.

Entrò deglutendo e fece vagare gli occhi nello spazio circostante con un profondo senso di disagio e disorientamento: il salotto, dalle dimensioni modeste, era occupato da un lago scatoloni poggiati a terra alla rinfusa, risultato dei precedenti viaggi di trasloco. Da quella stanza, si collegava tutto il resto dell'appartamento: un angolo cucina scheletrico, un bagno e due camere da letto spoglie.

Nadia fece un giro veloce di tutte le stanze e poi si affacciò alla finestra della sala: da quella posizione poteva vedere il quartiere in tutta la sua ampiezza.

«Adesso che non manca più nulla, non ci resta che sistemare questo disastro.» Guglielmo si richiuse la porta alle spalle, facendo tremolare le pareti.

Nadia si voltò e lo fissò con un sopracciglio teso all'insù. «Adesso?», si lamentò. «Ci saranno una ventina di scatoloni da aprire.»

«Domani inizierà una nuova settimana, perciò cerchiamo di darci dentro adesso.» Guglielmo si arrotolò le maniche sugli avambracci e tirò su il primo cartone imballato.

Dopo due ore calò il buio. Mentre Nadia stava sbocconcellando un panino con tacchino e insalata, intenta a mettere in ordine gli effetti personali nella sua nuova camera, il padre stava finendo di allestire la credenza della cucina.

Verso le undici di sera terminarono una buona parte del lavoro e poterono osservare il risultato finale con una stanca soddisfazione: nonostante l'abitazione non fosse una reggia, riempita dai mobili della vecchia casa, dava ancora una certa idea di familiarità: c'era ancora il divano di velluto verde nel salone, la credenza in vetro per il servizio di tazze da tè e il grande tappeto rosso in stile persiano.

«Ottimo lavoro, bocciolo. Adesso possiamo andare a riposarci», si congratulò il padre, assestandole delle piccole pacche sulla schiena. «Siamo entrambi stanchi, e la sveglia domani suonerà per entrambi. Ti voglio carica e riposata.»

Nadia diede la buonanotte a Guglielmo e accostò la porta della sua camera con un gran sospiro. Aveva i muscoli e i nervi a pezzi, una nostalgia che le pesava sul petto e un senso di stordimento nella testa. Prima di mettersi a letto preparò lo zaino per il giorno dopo, buttandoci dentro alla rinfusa dei fogli a righe, qualche biro blu e una matita intagliata nel legno da un artigiano del paese. Aprì l'armadio con un sospiro, tirò fuori un paio di Jeans a vita alta, una camicetta bianca con delle roselline ricamate e il suo paio di Converse preferite.

Dopo aver preparato tutto il necessario, s'infilò nel letto e prese il cellulare in mano per scrivere un messaggio ad Ada: "Adesso che sono arrivata a Roma, qualcuno può venire a riprendermi?" Pigiò il tasto invio e sospirò, lasciando cadere il telefono sul comodino.

Dopo pochi minuti stava già dormendo.


Angolo dell'autrice.

Ciao a tutti! Abbiamo appena iniziato a conoscere Nadia, protagonista femminile della storia.
Ma Mattia? Farà a breve la sua comparsa?
Continuate a seguire la storia e le risposte arriveranno a breve! -Ale.

Tutto quello che ho sempre cercatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora