Capitolo 63.

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       «Credi che stia bene così?» chiese Nadia, guardando il suo riflesso nello specchietto della macchina.

Mattia alzò gli occhi al cielo. «È la millesima volta che me lo chiedi. Sei perfetta.»

«Non lo so... mi sento inadeguata.» Lei lo fissò, preoccupata. Aveva indossato il vestito più bello che aveva nell'armadio, un abito color verde smeraldo, che le aderiva perfettamente alle curve del corpo. Non aveva aggiunto trucco eccessivo e gioielli, a parte la collana che le aveva regalato Mattia.

«Non devi sentirti inferiore a disagio,» la rassicurò il ragazzo, parcheggiando l'auto accanto al ciglio della strada. Erano arrivati di fronte alla casa di Anita, nel cuore del quartiere pariolino, dove c'erano già molte macchine ai lati del viale d'ingresso.

«E se mi facessero sentire ridicola?»

Mattia le afferrò le mani. Odiava vederla in quello stato di insicurezza. Come faceva a non rendersi conto di essere molto di più in tutto, rispetto alla gente che sarebbe stata presente a quella festa?

«Nessuno riderà di te», iniziò, portando l'indice davanti ai suoi occhi, «perché sei di una bellezza disarmante stasera.»

Nadia sorrise e sospirò. «Come fai a essere così tranquillo?»

Mattia le diede un bacio sulla tempia e le lasciò andare le mani. «Andrà tutto bene. È solo una serata. Ce la caveremo», mormorò, per convincere anche se stesso. «Andiamo?»

La ragazza fece cenno di sì con una smorfia tesa e uscì dall'abitacolo della macchina. Fuori era buio e faceva freddo, perciò non vedeva l'ora di entrare in casa. «Dovresti entrare prima tu, sai?» gli disse, a mezzo metro di distanza. Si stava guardando attorno con fare guardingo. «Per non farci vedere assieme, intendo.»

Mattia annuì. Almeno a inizio serata dovevano cercare di mantenere un certo anonimato. Si avvicinò alla ragazza e le lanciò un'occhiata apprensiva. Non sopportava l'idea di lasciarla lì da sola, anche se avrebbe cercato di ridurre al minimo quei momenti. Una volti entrati in casa, l'avrebbe tenuta d'occhio per tutto il tempo, controllando che non incappasse in situazioni spiacevoli.

Nadia lo salutò con la mano e dondolò sui piedi fino al momento in cui non lo vide varcare la soglia del cancello di casa De Longhi. Sospirò e passeggiò su e giù per il marciapiede, per far scorrere il tempo. Accanto a lei diverse ragazze entrarono nella proprietà, tutte profumate ed eleganti da far paura. Si ergevano sui tacchi come se dovessero partecipare a una sfilata di moda.

Nadia prese un bel respiro e si fece coraggio, varcando anche lei il cancello dell'inferno. Una volta all'interno della proprietà dei De Longhi, si accorse che c'era ancora più gente di quanta si fosse aspettata: ragazzi in smoking che fumavano in compagnia, tipe in bilico su tacchi vertiginosi e coperte a malapena da vestitini succinti, coppiette appartate intente a scambiarsi effusioni pubbliche. C'era un po' di tutto, ed era solo l'esterno della casa.

Nadia abbassò lo sguardo a terra e puntò alla porta della villa, opportunamente spalancata agli invitati. Quando passò in mezzo a un gruppo di persone del tutto sconosciute, qualcuno le fischiò dietro, o per molestia, o per apprezzamento. Le ragazze invece la squadrarono dall'alto in basso, come a chiedersi che diavolo ci facesse una come lei alla festa di Anita. Ma lei tirò dritta e filò dentro casa, dove notò con dispiacere che ci fosse già la baraonda.

L'ingresso, la sala e la cucina erano ridotti a un viavai di gente, tra chi scorrazzava da una parte e chi dall'altra. In sottofondo c'era una tranquillizzante musica classica, che dava un tocco sopraffine alla festa. Peccato che le chiacchiere e gli strepitii degli invitati la coprissero completamente, rendendo quell'evento simile a ogni altra festa liceale o in discoteca.

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