Capitolo 36.

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 Nello stesso momento, Nadia stava varcando la soglia del Joker, il locale dall'aspetto poco raccomandabile in cui l'aveva trascinata il compagno di classe. Per un attimo, le era venuto persino in mente il dubbio che Diego l'avesse portata in una zona poco frequentata per provare a fare qualcosa di sconsiderato.

«Perché ti sei fermata?», chiese il ragazzo, bloccandosi davanti a lei. Era a due passi dalla porta, con una mano sopra la maniglia, e la stava guardando interrogativo.

Nadia aprì la bocca, poi la richiuse, sprovvista di parole. «Questo locale non mi ispira molta fiducia.»

«Su, non fare la guastafeste, Savini. Io e gli altri ragazzi veniamo spesso qui, quando vogliamo rilassarci e bere qualcosa insieme.» Diego afferrò Nadia per il polso e la strattonò verso di lui, avvicinandola all'ingresso. «Non rovinare questa serata. Io farò in modo di farti divertire, ma devi essere collaborante.»

Nadia trattenne un gemito e socchiuse gli occhi, intimidita dal compagno. «Mio padre non vuole che faccia troppo tardi», gli fece presente.

Diego rise e la squadrò dall'alto in basso, facendola sentire una perfetta idiota. «Puoi sempre prendere un autobus, al ritorno, se i nostri orari non ti vanno a genio. Ammesso che ti fidi di rimanere da sola di notte in questa zona.»

Nadia rabbrividì al solo pensiero. «Va bene», acconsentì alla fine. «Sappi che sto riponendo molta fiducia nel tuo buon senso, Diego.»

Il ragazzo si avvicinò a lei e le circondò le spalle con il braccio. «Vorrei dirti che stai facendo la scelta giusta, ma sarei un bugiardo. Un pessimo bugiardo», mormorò sorridendo, con la bocca dietro alla sua nuca. «Posso solo prometterti che tra poco ti scorderai di tutti questi problemi e penserai finalmente a rilassarti. Se ti ho portata qui, è anche perché voglio vederti meno nervosa.» Le scansò una cioccia di capelli dal collo.

Nadia si irrigidì al tocco. Davvero non si rendeva conto che la causa più grande del suo nervosismo fosse proprio lui?

La prima cosa di quel locale che colpì Nadia fu l'odore: l'aria era densa, pungente, e arrivava agli occhi come una foschia sgradevole. Arricciò il naso, disgustata da quella puzza di stantio, e sbatté più volte le palpebre per mettere a fuoco la stanza. All'apparenza il Joker dava tutta l'impressione di essere un comune bar: c'era un bancone verde che occupava il lato destro della sala, con degli sgabelli posizionati davanti e occupati da uomini. Poi c'erano tanti tavoli, rotondi e di varie dimensioni, sparsi qua e là senza un preciso ordine. Da alcuni di essi provenivano schiamazzi e grasse risate di persone intente a conversare, o bere in compagnia. Nel complesso, il locale era pieno di vita, anche se dall'esterno non sembrava proprio.

Nadia notò subito che la clientela era per la stragrande maggioranza formata da uomini adulti o comunque più grandi di lei. L'unica donna, una spilungona piena di piercing in volto, era seduta su uno sgabello di fronte alla cassa del bar e masticava una gomma americana a bocca aperta, poggiata sui gomiti per mettere in mostra l'ampia scollatura. Ogni tanto qualche uomo passava lì e attaccava bottone, offrendole da bere e sussurrandole parole a bassa voce.

Dopo aver gettato un'occhiata complessiva al bar, Nadia inquadrò il tavolo degli altri ragazzi: era più isolato rispetto agli altri e si trovava accanto alla parete delle slot machine. Seduti in cerchio non c'erano solo Bruno ed Elias, ma anche altri due ragazzi mai visti prima d'ora.

«Oh, guarda un po' chi si vede...» Esordì una voce maschile accanto a loro. «Neri, canaglia di un ragazzaccio!»

Nadia si voltò sulla destra fino a scorgere un ometto panciuto dietro al bancone delle bevande. Aveva le guance e il naso rossi e stava asciugando un boccale di vetro con un panno.

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