Capitolo 48.

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Le settimane successive trascorsero a rallentatore, scivolando via con lentezza e monotonia. Novembre se n'era andato in punta di piedi e si era trascinato con sé un dicembre ancora più gelido. Le giornate erano diventate cupe e grigie, e il freddo pungente invitava a restarsene al caldo della propria casa. Anche Nadia aveva innalzato una pesante copertura attorno a sé, fino a diventare così minuscola da non essere calcolata più da nessuno. Non che ci volesse tanto, in qualsiasi caso.

Riflettendoci, probabilmente non intavolava una conversazione vera da almeno due o tre settimane, escludendo il padre, i professori e Diego, che ormai aveva perso ogni briciola di credibilità nei suoi confronti. Per il resto della classe era finita in un baratro di indifferenza e a lei andava bene così.

In quel mese di mutismo selettivo, Nadia aveva sviluppato un vero e proprio risentimento nei confronti della casta dei suoi compagni, tanto altolocati, quanto falsi. Spesso passava le lezioni più noiose a osservarli dal banco, e lo faceva in modo minuzioso, senza lasciarsi sfuggire nessun dettaglio: tutto ciò che facevano – anche il semplice respirare - era schifosamente ipocrita e superficiale. E da quella valutazione cinica e spassionata non si salvava nessuno. Nemmeno lui.

Nadia non aveva più rivolto la parola a Mattia dopo il loro ultimo litigio e lui aveva iniziato nuovamente a frequentare senza remore il suo gruppetto di amici fidati. E di questo ne sembrava anche molto entusiasta, visto che aveva ricominciato a ridere delle battute patetiche e offensive di Lorenzo e Manuel e lasciava avvicinare a sé Anita, che lo teneva sotto tiro come se dovesse mandare in frantumi quel sogno da un momento all'altro.

Anche quella mattina Nadia era rimasta seduta al proprio posto, con la schiena poggiata alla sedia e le braccia distese sul banco. Era da poco suonata la ricreazione e molti dei suoi compagni erano usciti in giardino o a prendersi un tramezzino al bar della scuola, ma lei non si era alzata, né aveva la minima intenzione di farlo. Il suo sguardo, vuoto e annoiato, le era ricaduto di nuovo sul gruppo di Mattia e per quanto le costasse ammetterlo, lo fissava molto più di quanto avrebbe dovuto.

Nadia sospirò piano e abbassò gli occhi sul banco, rigirandosi una penna tra le dita. La verità era che si sentiva sola senza di lui. Gli mancava, e questo la faceva sentire amareggiata, nonostante l'avesse mollata come un giocattolo vecchio, fregandosene dei suoi sentimenti. Quel ragazzo era riuscito a entrarle nel cuore, in un modo o nell'altro, e adesso faceva anche fatica a uscircene, al punto da farla sentire vuota e incompleta, senza le sue solite occhiatacce protettive e i sorrisetti sghembi che solo lui riusciva a regalarle.

La ragazza scosse all'improvviso la testa e sbatté le ciglia, come risvegliandosi da un sogno a occhi aperti. Subito si maledisse per quello che aveva appena formulato nella mente e cercò di riportare il cervello al solito livello di risentimento nei confronti di Mattia Silvestre: doveva odiarlo per tutto quello che le aveva fatto, e invece si ritrovava sempre a odiare se stessa per non riuscire a toglierselo dalla testa... Per non riuscire a dimenticarselo, quando invece lui c'era riuscito benissimo.

Nadia posò gli occhi sul foglio di carta che aveva sul banco. Reggeva ancora la penna nella mano e non si era resa conto che l'aveva riempito di frasi e disegni, durante il suo flusso di pensieri. Aggrottò le sopracciglia e se lo avvicinò di fronte, incuriosita in particolar modo da alcune parole racchiuse nell'angolo superiore della pagina: "Con il vuoto dentro, mi nutro della tua mancanza. Odio guardarti e vederti felice senza di me. Odio tutto, odio te. Ma mi manchi".

Nadia rilesse quelle frasi almeno tre volte, sempre con il respiro bloccato nel petto e lo stupore negli occhi. Davvero era stata lei a scriverle? Si era talmente assentata con il pensiero che non aveva realizzato di stare scrivendo a briglia libera e adesso vedere quella serie di parole impresse lì – vomitate su quella pagina – le fece mancare la terra sotto ai piedi. Con un gesto rapido accartocciò il foglio e si alzò dalla sedia, dirigendosi verso il cestino vicino alla porta dell'aula.

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