Capitolo 16.

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Convincere suo padre a farle passare la nottata fuori casa non era stato affatto difficile come aveva pensato. Quando Nadia era tornata a casa, il giorno prima, Guglielmo l'aveva accolta con un caloroso abbraccio; aveva preparato il pranzo e comprato un dolce nella pasticceria lì vicino, il che voleva dire che aveva avuto una buona giornata al lavoro. Infatti, una volta seduti di fronte al tavolo della cucina, le aveva raccontato che gli straordinari fatti fino a quel momento avevano portato un incremento, sebbene piccolo, del suo salario. Perciò dovevano festeggiare. Nadia gli aveva sorriso e si era congratulata. Poi aveva sfruttato quel momento di ottimismo per raccontare la sua giornata al padre, accennando la storia del "pigiama party" con le compagne di scuola.

«Devo chiederti una cosa, papà», gli aveva detto, schiarendosi la voce.

«Dimmi, bocciolo», aveva risposto lui, con le labbra tese all'insù. Quando il padre sorrideva, era l'uomo più bello del mondo.

«Sai, ho iniziato a stringere amicizia con delle ragazze della mia classe e una di loro, Anita, mi ha invitata a passare la serata a casa sua.»

«Ma è fantastico. È davvero una notizia meravigliosa!», aveva esclamato Guglielmo, mentre intanto si concentrava a non distruggere la fetta di torta al cioccolato.

«Il fatto è che ha organizzato un pigiama party... Sai, loro lo fanno tutte le settimane. Guarderemo qualche film in televisione e ordineremo la pizza cena. Insomma, una cosa tranquilla. Posso andare? La mattina dopo mi farò accompagnare a casa.»

Guglielmo si era fermato qualche secondo a riflettere, poi aveva alzato gli occhi sulla figlia. «Ammetto che saperti fuori casa per tutta la notte mi rende un po' preoccupato, bocciolo, però inizi a essere grande e sono convinto che le tue nuove amiche siano delle ragazze affidabili», le aveva rivelato. «E poi, so di potermi fidare di te. Questa è la cosa più importante. Quindi, va' e divertiti pure. Te lo meriti.»

Lei aveva trattenuto per un attimo il respiro, avvolta da una sensazione penetrante di senso di colpa nei confronti del padre. Non aveva mai inscenato una bugia così grossa prima di quel momento, e il fatto che lui se la fosse bevuta la faceva sentire tesa come una corda di violino. Alla fine si era alzata dalla sedia ed era corsa ad abbracciarlo.

«Grazie, papà! Non hai idea di quanto sia importante per me!»

«Sono davvero contento che abbia iniziato a farti degli amici, a scuola. In questi ultimi giorni ti ho vista sempre un po'... spenta

«Ci sto lavorando su», aveva risposto lei, con un sorriso appena accennato. Poi la serata era proseguita in tutta tranquillità. Nessuno dei due aveva più accennato all'argomento.

Ma adesso, alle 19.50 di sabato sera, appoggiata con le braccia conserte alla ringhiera del suo liceo, Nadia non era più tanto convinta di partecipare alla festa a casa di Anita. Era arrivata in anticipo per farsi trovare pronta dalle altre ragazze, di cui però ancora non c'era ombra. La sua vocina interiore si era già svegliata, tartassandola con mille dubbi e preoccupazioni: "Sei così stupida, Nadia", le diceva. "Davvero pensavi che volessero presentarsi a una festa con te, una sconosciuta figlia di nessuno?"

Sospirò, preoccupata, e scosse la testa per cancellare quel pensiero, mentre con gli occhi si guardava attorno, sotto la luce di un lampione. Ma poi un paio di fari sbucarono all'improvviso nella via.

Nadia aguzzò la vista, portandosi la mano sopra la fronte per non restare acciecata dal fascio luminoso. L'auto metallizzata decelerò e si fermò proprio accanto a lei: il finestrino sul retro scese lentamente e da lì sbucò la faccia di Anita, sorridente e concitata. «Eccoci, tesoro. Scusa per il ritardo. Ci stavi aspettando da tanto?»

Nadia sentì altre voci provenire dall'interno dell'abitacolo e dedusse che le altre ragazze stessero già con lei. «Solo venti minuti», rispose, un po' seccata.

Anita si scusò di nuovo e fece cenno al guidatore di scendere. Lo sportello davanti sì aprì e da lì scese un uomo allampanato, un po' stempiato e stretto in un completo nero elegante. Probabilmente aveva una sessantina d'anni, indossati in modo decoroso. «Falla salire davanti, Gustavo. Penso che non ci si sia mai seduta in una macchina con i sedili in vera pelle.»

«Sì, signorina De Longhi», rispose semplicemente Gustavo. Poi si voltò verso Nadia e le sorrise educato. «Prego.»

Nadia lo seguì dall'altro lato dell'automobile ed entrò impacciata nell'abitacolo, ricoperto di pelle nera e ornato da dettagli in legno. Dallo specchietto retrovisore vide Penelope e Giada, intente a stendersi uno strato abbondante di rossetto sulle labbra.

«Non volevamo farti aspettare qui fuori da sola, ma non ti negherò che abbiamo tardato per te.» Anita sfoggiò uno dei suoi sorrisi più accattivanti. «Abbiamo fatto un salto in qualche negozio del Corso per comprarti qualcosa di figo per stasera, ma abbiamo trovato un po' di traffico per strada.»

«Cosa avete fatto?», esclamò Nadia, sgranando gli occhi verdi. «No, ragazze, non avreste dovuto! Io... io non posso accettare.»

«Andiamo, Nadia, non farti problemi. Sono solo un vestito e un paio di scarpe. Niente di che.» Giada si strinse nelle spalle, presa dalla sua immagine riflessa in un piccolo specchio da borsa.

«È solo un modo per scusarci di come ci siamo comportate con te i primi giorni di scuola», aggiunse Penelope.

«Chissà quanto ci avrete speso.»

Anita rispose con un gesto elusivo della mano. «Non è importante che non possiamo permetterci», la rassicurò. Poi toccò la spalla dell'autista e gli fece cenno di partire, diretti verso casa sua.

Mentre le ragazze spettegolavano sul retro della macchina, chiedendosi quanti studenti universitari in cerca di materia prima avrebbero partecipato all'evento del Machiavelli in discoteca, Nadia rimase con lo sguardo puntato sulla strada. Fuori era buio ormai, ma c'era comunque movimento per le vie. A quanto pareva, la gente in città non si stancava mai di vivere e l'arrivo del sabato sera, a Roma, sanciva l'inizio della seconda parte della giornata, fatta di lampioni accesi, locali aperti fino a tardi e divertimento profuso nell'aria.

Dopo circa venti minuti di guida spigliata in mezzo al traffico serale, Gustavo si fermò di fronte a un cancello in ferro battuto di una grande abitazione e attese che i battenti si aprissero, prima di imboccare un piccolo vialetto mattonato. Fermò la macchina sotto di fronte all'ingresso e scese, per andare ad aprire gli sportelli alle altre ragazze.

«Grazie, Gustavo.» Anita diede una pacca sul braccio all'autista e gli fece l'occhiolino. «Sei il mio tuttofare preferito.»

«Dai, Anita, che è già tardi.» la spronò Giada, guardando rapidamente l'ora sul telefono.

«Ragazze, tranquille. È tutto sotto controllo», ribatté lei, mentre si avviava a braccetto con Nadia verso l'ingresso della casa.

«Manca ancora un sacco di tempo alla festa, in effetti», rifletté Nadia, sollevando le sopracciglia.

Carolina rise. «Lo so, ma dovremo lavorarci molto, con te. Non penserai mica di venire conciata così.»

«Veramente, io-»

«Niente ma», la bloccò Penelope, ferma di fronte alla porta. «Dobbiamo rimetterti a nuovo completamente

«Dalla punta dei capelli fino all'ultima unghia dei tuoi piedi», aggiunse Giada, afferrandole una ciocca bionda tra le dita e lasciandola andare con sufficienza.

Nadia rimase ad ascoltare la loro nube di pensieri deliranti in silenzio. Non si era mai posta l'interrogativo del suo aspetto fisico, fino a quel momento. In realtà, non era mai stata interessata a seguire la tendenza della moda nel vestire, né lo reputava un aspetto fondamentale su cui porre così tanta attenzione come stavano facendo le altre ragazze. In ogni modo, però, sapeva anche che non le avrebbero mai dato la possibilità di controbattere, quindi alzò le mani in segno di resa e si limitò ad aspettare il risultato finale.

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