Capitolo 10.

19.6K 880 19
                                    



Quando Nadia arrivò a casa, scoprì che il padre non c'era, così attraversò il piccolo corridoio e poggiò a terra lo zaino, mentre con gli occhi studiò ogni centimetro della sala ancora un po' in subbuglio.

Con un sospiro, cancellò ogni forma di malinconia e si diresse in cucina: era l'ora di pranzo e non aveva messo più niente sotto i denti da quando era passato l'intervallo a scuola. Per fortuna, suo padre le aveva lasciato un po' dei suoi avanzi, il che voleva dire che era tornato a casa prima di lei, aveva mangiato velocemente e poi era uscito di nuovo, senza però avvertirla al telefono.

Mentre stava sbocconcellando un po' insalata, seduta al tavolino, le saltò agli occhi un piccolo post-it attaccato alla lavagnetta magnetica, vicino al frigorifero. Ancora con la fetta di pane in mano, si alzò e lo staccò da lì per leggerlo: "Sono andato in banca a firmare delle cartacce. Ricordati di andare a ritirare a San Lorenzo i libri scolastici che avevamo ordinato. Sul retro ti ho scritto l'indirizzo del negozio e l'autobus che devi prendere. Stai attenta. Papà".

Nadia alzò gli occhi al cielo e sbuffò: era arrivata a Roma da soli due giorni e già il padre la stava riempiendo di commissioni. Lavò i piatti e rimise in ordine tutte le posate nel cassetto, poi si diresse in camera sua, per riposarsi un po': quel giorno era stato già abbastanza stancante per ripartire subito, diretta in un altro quartiere della città. E, in ogni caso, i negozi sarebbero stati aperti fino a poco prima di cena, quindi di tempo ne aveva abbastanza.

Dopo aver svuotato lo zaino, si sdraiò sul letto e mise un po' di musica sul cellulare, ripensando a occhi chiusi a quella che era stata la sua giornata... dallo scontro con Mattia Silvestre alla conoscenza di Diego e degli altri compagni di classe.

Due ore dopo, si svegliò di soprassalto, tirandosi su di scatto dal letto con un'aria stravolta. Senza accorgersene, si era addormentata senza nemmeno impostare una sveglia: adesso erano quasi le sei di pomeriggio e lei non era ancora uscita di casa.

«Maledizione!», esclamò, afferrando al volo la borsa con il portafogli e le chiavi. Corse in bagno, si sciacquò il volto in un batter d'occhio e qualche minuto dopo stava correndo per le scale della palazzina, con il fiato corto e la paura di non riuscire ad arrivare in tempo.

Per strada c'era un viavai di gente, a quell'ora, e tutti sembravano presi dalle proprie faccende personali: chi con i bambini in braccio, chi di ritorno da uno shopping sfrenato e chi a passeggio con il proprio cane.

Nadia rilesse l'indirizzo che le aveva lasciato il padre e continuò a camminare fino alla fermata dell'autobus che avrebbe dovuto prendere: c'erano diverse persone ad aspettare, proprio all'incrocio della strada, così si fermò accanto al display e lesse i tempi d'attesa, riprendendo a mano a mano un po' di fiato.

L'autobus arrivò dopo dieci minuti, tossendo aria puzzolente dalla marmitta. All'interno c'erano parecchie persone, così Nadia dovette restare in piedi. Facendosi spazio tra un signore con il bastone e una donna con i sacchi della spesa in mano, riuscì a incastrarsi di fronte al finestrino. Mentre monitorava le fermate con il cellulare, si accorse che di fuori il paesaggio stava virando rispetto a quello dei Parioli: non si trovava più nella zona benestante della città, era palese.

Una volta giunta a destinazione, l'autobus si era quasi svuotato del tutto, a eccezione di un ragazzo di colore che stava ascoltando la musica e di un uomo che la stava fissando in modo inquietante da diversi minuti.

Quando si trovò di nuovo sulla strada, ormai illuminata dalla luce dei primi lampioni, tirò un sospiro di sollievo e individuò sulla mappa la via della libreria, incamminandosi a passi svelti: una volta svoltato l'angolo, però, rallentò di colpo, vedendo un po' più avanti dei ragazzi fare gruppo tra loro, come se stessero combinando qualcosa di losco.

Nonostante la situazione non la mettesse a proprio agio, prese coraggio e imboccò ugualmente la via, muovendo dei passi meccanici e rigidi, la testa bassa e gli occhi incollati sullo schermo del cellulare. A mano a mano che si avvicinava al gruppo, Nadia riuscì a delineare meglio le diverse persone che ne facevano parte: erano cinque, tutti vestiti in abiti informali. Stavano parlottando a voce bassa e accanto a loro, vicino al marciapiede, c'erano delle moto parcheggiate.

Poi, una voce dura sovrastò sulle altre... Una voce alquanto familiare. 



Tutto quello che ho sempre cercatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora