La casa era piena di scatoloni in ogni dove: sul pavimento, sul tavolo, impilati accanto alla porta. Erano ovunque.
Nadia passò in rassegna con lo sguardo ognuno dei contenitori stracolmi di oggetti. Che buffo vedere la propria casa racchiusa all'interno di quattro pareti di cartone, sigillate da nastro adesivo marrone. Si mise seduta su uno di questi e passò il braccio sulla fronte, imperlata di sudore. Fare il trasloco era una delle cose che odiava di più. Ma stranamente era anche quella che le riusciva meglio.
Bizzarra la vita, vero? Da un momento all'altro ti faceva passare dal credere di aver trovato tutto di cui aveva bisogno, al restare letteralmente senza niente.
Si alzò in piedi e trascinò altri scatoloni accanto alla porta d'ingresso di casa. Da lì il padre li avrebbe portati fino alla macchina. L'idea era di partire all'alba del giorno dopo. Entrambi erano troppo giù di morale per rimandare ancora. Improvvisamente Roma era diventata una città ostile, per un motivo o per l'altro. Non aveva senso restare ancora, soprattutto perché senza un lavoro, sarebbe stato impossibile mantenere l'affitto di casa e la retta della scuola. Almeno non senza dare fondo a tutti i risparmi che suo padre era riuscito a mettere da parte.
E poi Nadia non vedeva l'ora di andarsene. Stava contando le ore, i minuti, i secondi, che la separavano dal lasciare Roma una volta per tutte. Era arrivata a detestarla con tutta se stessa. Ogni singolo atomo da cui era composta la odiava, come odiava le persone che la abitavano. Specie quelle che l'avevano fatta soffrire.
Ed erano proprio quelle persone che aveva lasciato vincere, alla fine. Si erano presi gioco di lei dall'inizio, ma adesso non le interessava più. Tra poche ore se ne sarebbe andata, e poco contava chi fossero le vittime e chi i carnefici.
***
«È ora di andare, bocciolo.» Guglielmo scosse delicatamente la figlia, per farla svegliare.
Fuori dalle finestre non si vedeva il sole. Era ancora notte. Nadia emise un flebile lamento e si stropicciò gli occhi. Dormire sul divano era una delle cose più scomode mai inventate.
«Sono sveglia...» mormorò, con la voce impastata dal sonno.
«Ho finito di caricare tutti i bagagli mentre dormivi.»
Nadia si guardò intorno con una smorfia sorpresa e assonnata allo stesso tempo, e notò che il vecchio appartamento che l'aveva accolta per diversi mesi non era diventato altro che una scarna esternazione del suo vuoto interiore.
Con uno sbadiglio, raggiunse il tavolo della cucina e aprì il pacco di biscotti che il padre le aveva lasciato fuori per la colazione. «Hai parlato con lo zio?»
Guglielmo aprì e richiuse ogni sportello della cucina per controllare di aver preso tutto. «Sì. Pare che ci siano speranze concrete per l'azienda agricola», rispose.
«Sono contenta, papà.» Nadia sorrise. «Un nuovo lavoro e dell'aria pulita è tutto quello che ci serve per iniziare di nuovo da capo.»
«Forse tornare in paese era scritto nel nostro destino.»
«Sì, forse è così...» Per un attimo, nella testa di Nadia passarono a rallentatore i mesi trascorsi a Roma, le nuove esperienze, le cattive amicizie, gli sbagli, Mattia. Mandò giù un groppo che sentiva in gola e abbassò velocemente lo sguardo sul tavolo.
Come tradire il nervosismo in un solo gesto.
Guglielmo si avvicinò alla figlia e le poggiò le mani sulle spalle. «Ehi, sei sicura che vada tutto bene?»
No, va tutto male. Ogni cosa nella mia vita va maledettamente male.
«Sì, papà. È solo che voglio lasciare questo posto subito.»
Il padre la squadrò poco convinto. Storse il naso e si allontanò dalla figlia, continuando il giretto d'ispezione per la casa. Stava per dire qualcosa di pericoloso. Il fatto che avesse preso le distanze da lei parlava chiaro.
«Mi chiedevo», esordì infatti con tono innocente, «se fossi del tutto convinta di non voler salutare Mattia prima di partire.»
Nadia strinse le labbra. «Non dire fesserie, papà.»
«So che non sei d'accordo, tesoro, ma forse credo che lascerai questo posto senza rimpianti, se solo lo degnerai di un saluto.»
«Lui non si merita nemmeno un mio sguardo», replicò Nadia. Ed era vero. Come lo era anche che, se avesse incrociato per una volta ancora i suoi occhi, sarebbe crollata. Per quanto lo odiasse con tutta se stessa, non riusciva a togliersi dalla testa Mattia. Non riusciva a cancellarlo del tutto, come una gomma elimina le tracce di un errore su un foglio. E si detestava per questo motivo. Quindi no, vederlo non era affatto una scelta contemplabile.
«Sei testarda come tua madre.» Guglielmo scosse la testa e si avviò verso la porta senza insistere oltre.
Uscirono di casa e chiusero la porta. Metaforicamente parlando, stava chiudendo anche un capitolo della sua vita. Un capitolo pieno di vita ed eventi spiacevoli. Ma anche un periodo di cambiamenti. Lasciando Roma diceva anche addio alla vecchia Nadia: quella che abbassava gli occhi per prima; quella che aveva fiducia nelle persone; quella che pensava che tutti fossero degni di una seconda possibilità.
Riempì d'aria i polmoni e sorrise, traendo energia dall'ossigeno del cortile esterno di casa.
Già, la vecchia Nadia era morta. Da adesso sarebbe diventata una persona nuova.
«Siamo pronti a partire?» le domandò il padre, entrando nell'auto con un sospiro stanco.
Nadia guardò nell'abitacolo con aria raccapricciata. C'erano scatoloni ovunque. Anche sotto i loro piedi. «Con la speranza di arrivarci, a casa...» si augurò, puntando gli occhi fuori dal finestrino.
Mentre il padre metteva in moto il motore, la ragazza afferrò la borsetta, colta da un improvviso dubbio. Aprì la zip e ficcò la mano dentro, alla ricerca di qualcosa che sapeva già di trovare. Agguantò il cellulare, dimenticato da giorni al suo interno. Per fortuna se n'era ricordata in tempo.
«Aspetta un momento!» Bloccò il padre per un braccio prima che potesse partire e scese di corsa dalla macchina. Raggiunse il muretto accanto al cancello della palazzina, e ci poggiò sopra il cellulare, incastrandolo tra una sbarra e l'altra dell'inferriata.
Se mai Mattia fosse tornato lì, se lo sarebbe ripreso. Lei non se ne faceva più nulla ormai.
Tornò in macchina e sorrise al padre, libera da ogni oggetto che la incatenasse al passato.
«Che cosa hai lasciato?»
Nadia gli strinse la mano e sospirò, adesso più leggera. «L'ultima cosa che mi teneva legata a questo posto.»
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Tutto quello che ho sempre cercato
RomanceNadia Savini ha 17 anni e una vita apparentemente tranquilla, trascorsa in un piccolo paese della bassa Toscana insieme al padre. Orfana di madre già da pochi anni dopo la sua nascita e in una condizione economica familiare per nulla agiata, sa beni...