Epilogo.

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Era una settimana che non veniva a scuola. Una settimana che non si faceva viva e che il suo telefono era spento.

Una settimana.

Era frustrante entrare in quell'aula e vedere il suo banco vuoto, come se nulla fosse. Come se nessuno si fosse accorto della sua assenza. I suoi occhi puntavano sempre lì invece e il suo cervello stava immancabilmente in moto, alla ricerca della giusta spiegazione a quell'evento.

Era malata? O forse era troppo impegnata a cercare una soluzione con il padre, per poter pensare alle lezioni?

Mattia non ne aveva la più pallida idea e il non saperlo lo rendeva irritabile e nervoso. Odiava non avere la situazione sotto controllo. Odiava sapere che lei potesse continuare la sua vita in tutta tranquillità, quando invece lui faceva persino fatica ad andare a scuola la mattina.

I compagni non sapevano niente, i professori nemmeno. Per loro era come se Nadia non fosse mai esistita. Come se fosse un'ingombrante parentesi da chiudere il prima possibile. Per lui invece era la parte centrale del tema.

Durante tutti quei giorni era stato pervaso da una strana sensazione, difficile da spiegare in modo concreto. Era come quando usciva di casa, nelle giornate nuvolose, e captava nell'aria l'arrivo di un temporale. Non lo sapeva perché aveva visto il meteo al telegiornale, no... Lo sentiva e basta.

Allo stesso modo adesso sentiva che nell'aria ci fosse qualcosa ben peggiore di un semplice temporale. Da come era irrequieto sembrava che stesse per arrivare un vero e proprio uragano. Di quelli potenti, che devastano tutto.

Uscito da scuola ignorò i suoi compagni di classe. Era palese che stessero cercando di riallacciare i rapporti con lui, immischiandolo nei loro programmi. Forse erano stati i suoi genitori a obbligarli a essere così petulanti. Da quando si era lasciato con Nadia e aveva scoperto di quale atto schifoso si fosse macchiata la madre, gli era passata la voglia di fare qualsiasi cosa.

Entrò nella macchina senza badare alle occhiate incuriosite degli altri studenti. Se avevano da spettegolare, potevano anche andare a farsi fottere, per quello che gli riguardava.

Accese il motore con un rombo e si allontanò dalla scuola. Con le braccia distese verso il volante, fece scrocchiare il collo. Guidare lo aveva sempre rilassato e negli ultimi giorni aveva passato più tempo nella sua macchina che a casa.

Fece più volte il giro del circondario, senza avere una meta precisa o un punto di arrivo prestabilito. Guidava e basta, seguendo l'istinto. Pigiò il pulsante dello stereo e lasciò libera la mente di vagare dove volesse.

Dopo dieci minuti si ritrovò di fronte all'incrocio che portava alla palazzina di Nadia. Strinse le nocche sul volante e s'impose di non guardare da quella parte. Era stata chiara: non lo voleva più vedere. E per quanto potesse farlo stare male, comprendeva la sua decisione.

Si fermò al semaforo e mise la freccia a sinistra, dalla parte opposta a quella della via della ragazza. Tamburellò le dita, indeciso e irrequieto, e attese lo scattare del verde. Si sentiva troppo attratto da quella maledetta casa per seguire i pensieri logici.

«Oh, fanculo», sbraitò alla fine, quando fece forza sui suoi pensieri e sterzò con violenza verso destra. La macchina accanto a lui si attaccò al clacson, inveendogli contro. «Fanculo anche a voi!» Si gettò nella via poco trafficata da cui si sarebbe dovuto tenere alla larga e fermò la macchina proprio sotto al palazzo.

Uscì all'esterno e si mise le mani in tasca, combattuto. In fondo non aveva ancora accettato l'idea della rottura con Nadia. Sperava ancora in un suo ripensamento.

Tutto quello che ho sempre cercatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora