Mattia scese le scale di casa di corsa. Si era fatto una lunga doccia e adesso era in ritardo clamoroso per uscire. Probabilmente gli altri ragazzi del gruppo lo stavano già aspettando, anche se quella sera avrebbe preferito restarsene a casa a leggere un libro o ascoltare musica sul letto, da solo.
Ogni tanto aveva dei momenti di apatia, momenti in cui l'unica cosa che desiderava fare fosse eclissarsi nel suo mondo, lasciando fuori tutti i problemi della vita reale. Ma questo discorso non poteva proprio essere fatto durante quel giorno: il venerdì sera.
Era diventata prassi ormai uscire di casa e gironzolare per locali con gli amici, o per meglio dire con tutte le conoscenze approvate dai suoi genitori. Dopo diversi anni di uscite di gruppo, Mattia aveva fatto il callo a tollerare la presenza di alcune persone come Anita e le sue amiche nel gruppo. Erano stupide, senza dubbio, e avercele accanto in ogni momento era un lavoro estenuante per i nervi. I ragazzi invece erano più tollerabili, nel complesso. Riusciva anche ad andarci d'accordo, si impegnava.
Mattia passò di fronte alla grande sala, illuminata da una fioca luce di una plafoniera. «Sto uscendo», comunicò con tono inespressivo ai genitori.
Il padre stava leggendo una rivista sul divano, mentre la madre era impegnata a smanettare con lo smartphone, distesa su una chaise-longue color prugna. Entrambi alzarono appena lo sguardo dai loro affari.
«Be', era ora che ti decidessi a uscire da quella stanza. È dal pomeriggio che stavi rintanato lì dentro», commentò la madre, abbassando il telefono.
Mattia alzò gli occhi al cielo. «Già è tanto che esco.»
«Sai che è importante mantenere le relazioni sociali, Mattia. Hai diciotto anni. Mi stupisce che ancora non l'abbia imparato.»
«Mamma, ci sarà un giorno in cui ti andrà bene qualcosa di quello che faccio?»
«Ovviamente, quando smetterai di comportarti in maniera immatura e poco consona allo stile di vita che ti appartiene.» La donna sorrise, lanciandogli una frecciatina velenosa.
«Cornelia, per favore. Non voglio discussioni stasera», si mise in mezzo il padre, chiudendo di scatto la rivista. «Lascialo respirare, una volta tanto.»
La moglie però lo ignorò e si alzò in piedi, aggiustandosi la vestaglia di seta. «Spero almeno che tu stia uscendo con la giusta compagnia, Mattia.»
Il ragazzo s'irrigidì. Quando la madre cercava di indirizzare i discorsi verso punti più delicati, non finiva mai bene. «Non sono affari tuoi con chi esco, mamma.»
«Sì che lo sono, invece.»
«Cornelia, basta!», tuonò il padre, serio e accigliato. «Sono stufo di queste discussioni. Tuo figlio è maggiorenne, ed è in grado di prendersi le sue responsabilità.» Si voltò verso il ragazzo con uno sguardo eloquente. «Non è così, Mattia?»
«Forse non vi è chiaro questo piccolo dettaglio», replicò lui, con la voce tagliente. «Potrete veicolare la mia vita dall'alto come vi pare, decidendo il mio futuro e riempendomi la testa di stronzate. Ma la relazioni personali, le amicizie e tutto ciò che rientra nella sfera personale, rimangono a mia discrezione. Sono io a scegliere.»
«La tua arroganza mi salta ai nervi», commentò la madre. «Giulio, da quando all'istituto è arrivata una borsista provinciale, tuo figlio ha perso il lume della ragione.»
«Nadia non c'entra nulla. È una scelta che riguarda solo me», ringhiò il ragazzo.
Cornelia rise in modo freddo e prolungato. «Rovinare il nome della famiglia non è una scelta che riguarda solo te.»
«Dio, quante stronzate mi tocca sentire!», sbottò Mattia, furioso. Stava per dare un pugno al muro per la rabbia.
«Avete appena superato il limite della decenza. Sì, entrambi», s'intromise Giulio, con uno sguardo cinico e un tono che non ammetteva repliche. «Mattia, non dovevi uscire? Bene, allora è arrivato il momento che tu vada. Mentre tu, Cornelia, chiama la domestica e fatti preparare una camomilla, prima che la tu voce stridula mia faccia venire il mal di testa.» Si mise seduto di nuovo e aprì con un sospiro spazientito il giornale che stava leggendo prima dell'inizio dell'ennesima discussione familiare.
La donna sbuffò contrariata e si diresse in cucina, trascinandosi dietro un alone di fredda antipatia. Passò accanto al figlio senza nemmeno sfiorarlo, con lo sguardo dritto davanti a sé, fiero e impostato.
Mattia scosse la testa. «Andate tutti al diavolo...», borbottò, raggiungendo l'atrio con tre grosse falcate. Uscì dalla villa e sbatté la porta con una spinta secca. Fuori prese una bella boccata d'aria, riempendo di ossigeno i polmoni. Scaricò la rabbia dando un calcio a un vaso in terracotta, che rotolò a terra e si ruppe in due parti. Inveì ancora una volta, turbato dalla discussione, e prese la saggia decisione di andarsene da lì, prima di distruggere l'intero giardino.
Entrato nel box, salì in macchina e afferrò dalla tasca dei pantaloni neri il telefono. Compose un numero a memoria e attese con lo sguardo fisso fuori dal finestrino.
«Ci stai dando buca?», rispose subito la voce maschile dall'altra parte. «Bell'amico che sei.»
«Dove siete?», domandò Mattia, mentre intanto accendeva il motore della Mercedes.
«Al solito locale. Ti abbiamo tenuto un posto, sempre che ti degnerai di venire.»
«Lorenzo, non sono dell'umore.»
«Problemi in paradiso?», scherzò l'amico. Era quasi scontato che avesse bevuto. Il sottofondo di risate e schiamazzi gli diede la conferma.
«Più o meno», rispose sbrigativo. Inserì la prima e uscì dal cancello di casa. «Quindi siete tutti al Supremacy?»
Altre risate. «Sì! Muoviti, o ti perderai il meglio. Manuel sta cercando di fare centro con le olive nella scollatura di Anita. Infatti penso che adesso attaccherò e le farò un video. A quanti mi piace arriverei, se lo caricassi su Instagram? Quattrocento? Mille?»
«Esibizionista.»
«Se Anita perde, offrirà da bere a tutti.» Si sentì un rumore bicchieri rovesciati, poi degli urletti isterici. «Okay, ora devo proprio andare, amico. Anche Penelope e Carolina vogliono partecipare al nostro gioco. Ti rendi conto?»
«Puntate in alto, insomma», commentò il ragazzo, inarcando un sopracciglio. «Sarò lì a breve.» E riagganciò.
Ragazze facili contro ragazzi stupidi. Una sfida all'ultimo neurone.
Per un attimo gli passò per la testa di fare marcia indietro e tornare a casa. Forse litigare con sua madre non era poi così male, rispetto alla serata mentalmente menomata che gli si prospettava davanti. Non vedeva davvero l'ora di guardare con occhio critico le scene pietose intavolate da un'Anita su di giri e dagli amici fuori di senno. Anzi, era quasi sicuro che sarebbero sfociate in situazioni indecenti. Sospirò e sfrecciò lungo la strada che ormai sapeva memoria, diretto al locale nel centro.
Al volante si rilassò, muovendo il collo da destra sinistra, fino a farlo scrocchiare. Alzò il volume dello stereo e si lasciò prendere dai pensieri. E fu proprio quando il cervello riuscì a vagare libero che gli si illuminò un interrogativo nella testa: chissà cosa stava facendo Nadia in quel momento.
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Tutto quello che ho sempre cercato
RomanceNadia Savini ha 17 anni e una vita apparentemente tranquilla, trascorsa in un piccolo paese della bassa Toscana insieme al padre. Orfana di madre già da pochi anni dopo la sua nascita e in una condizione economica familiare per nulla agiata, sa beni...