Le giornate successive trascorsero come Nadia se le era immaginate: in modo lento e inesorabile.
Ogni mattina si alzava dal letto con meno entusiasmo del giorno prima, salutava con un sorriso falsamente allegro il padre, convinto che la nuova vita della figlia avesse ormai preso il via a gonfie vele, e raggiungeva il liceo. Lì trascorreva il resto delle ore di lezione seduta al solito banco, con lo sguardo vagamente assente e la mente attenta solo agli sproloqui dei professori, che avevano smesso di prenderla di mira.
Quando la campanella della ricreazione squillava altisonante, Nadia usciva dall'aula senza guardare in faccia nessuno e raggiungeva quella che ormai era diventata la sua piccola oasi di pace: l'angolo del giardino dove si trovava l'albero più maestoso e isolato dalla confusione. Le piaceva sedersi sull'erba, sotto l'ombra dei suoi rami, e lasciarsi andare, in quei dieci minuti di pausa che le erano concessi. A volte mandava dei messaggi ad Ada, chiedendole come se la stesse passando senza di lei, altre volte si portava i libri di testo per ripassare prima di un compito in classe, e altre si riposava e basta, lasciando vagare la mente oltre i confini del Machiavelli.
Anche quel giorno lo squillo della campanella che segnava la fine delle lezioni arrivò puntuale alle tredici, e tutti gli studenti emisero nel loro piccolo un sospiro di sollievo. Quello di Nadia era enorme, ma non sarebbe durato troppo a lungo.
Mentre stava rimettendo i libri nello zaino, vide proiettarsi sul suo banco diverse ombre; alzò lo sguardo, improvvisamente turbata, e notò accerchiate attorno a lei le sue compagne.
«Ehi, Nadia», Anita la salutò con sorriso appena accennato, «li hai cinque minuti per parlare?»
Nadia rimase con l'ultimo libro in mano, lo sguardo stupito di fronte alla domanda inaspettata della compagna. «Ditemi.»
Le ragazze si guardarono a vicenda e Carolina fece l'occhiolino al resto del gruppo. «Sai, noi crediamo di essere state troppo dure con te, da quando sei arrivata», esordì, modulando la voce in tono dispiaciuto. «Non eravamo abituate ad avere una compagna così diversa dai nostri standard, perciò ti abbiamo attaccata come fanno gli animali quando incontrano un estraneo nel loro branco... Insomma, hai capito cosa voglio dire.»
Nadia rimase ad ascoltare quelle parole con scetticismo. Tutto si sarebbe aspettata, tranne quel genere di approccio da parte di Anita e del suo esclusivo club di amiche.
«E siccome ci sentivamo in colpa per averti trattata male, volevamo porgerti le nostre scuse. Ci farebbe piacere se le accettassi», continuò Penelope. Sembrava come se si fossero preparare un copione a parti.
«Be', grazie. Mi fa piacere sentirvelo dire.»
«Fantastico, perché abbiamo una proposta che non potrai rifiutare!» Anita occupò di nuovo il centro della scena, sorridendo in modo esageratamente entusiasta.
Nadia cominciò a sentire puzza di bruciato. C'era qualcosa che le stonava, in quel discorso fatto di sorrisetti sbiechi e occhi svegli. «Una proposta?»
«Questo fine settimana, la discoteca più gettonata della città organizza un party per il liceo e non mancherà nessuno, di noi. Visto che devi ancora ambientarti a scuola, dovresti venire. Ti faremo passare la serata in nostra compagnia», spiegò Giada, sventolandole davanti agli occhi un dépliant che aveva appena tirato fuori dalla borsetta.
«E inoltre», Anita si avvicinò a Nadia, ancora seduta al suo banco, e le mise in ordine il colletto della camicetta, «sarai ufficialmente invitata al nostro pre-serata a casa mia.»
Nadia s'irrigidì non appena vide Anita avvicinarsi così tanto a lei e sistemarle gli abiti, quasi con fare materno. Davvero non riusciva a capacitarsi di come le stesse ragazze che l'avevano isolata durante i primi giorni di scuola, adesso la stessero invitando ad andare a una festa insieme a loro. C'era qualcosa che stonava nel loro discorso, ma non riusciva a capire cosa ci avrebbero guadagnato a farle uno scherzo di pessimo gusto. Nessuna di loro era più una bambina, giusto?
«E in cosa consiste questa pre-serata?» chiese, dopo un'attenta riflessione.
Anita affinò lo sguardo e sollevò le spalle, disinvolta. «È una sorta di aperitivo che organizzo nella mia ala personale della casa. Ci beviamo qualcosa di alcolico, chiacchieriamo un po' e poi ci prepariamo per la festa.»
«Scegliere cosa mettersi non è mai facile», aggiunse Carolina, indicandosi i capelli castani, raccolti in una treccia laterale e la giacca elegante che indossava.
«Accetta la proposta, Nadia. Ti divertirai e non avrai difficoltà a fare nuove conoscenze, se la gente ti vedrà con noi.» Penelope le sorrise e sbatté le lunghe ciglia nere. «Pensa a quanti ragazzi ci proveranno con te, non appena ti avremo dato una bella sistemata.»
Nadia si schiarì la voce, ancora per nulla convinta della risposta da dare. Aveva un sentore di allerta in fase di quiescenza nella testa, pronto ad accendersi da un momento all'altro: da una parte non si fidava di quelle tre ragazze, dei loro sorrisi troppo allegri e delle loro moine finalizzate ad accaparrarsi il suo consenso, ma dall'altra aveva voglia di sbilanciarsi un po'. Erano settimane che non faceva altro che studiare a casa e seguire le lezioni a scuola. La sua vita stava diventando il riflesso di un quadro monotono, e sinceramente iniziava ad accusarne le conseguenze psicologiche e mentali.
«Mi piacerebbe accettare, ma mio padre non sarà mai d'accordo a farmi passare la notte fuori casa. Ecco, lui è un po' all'antica su certe cose...»
Anita tornò a prendere le distanze da lei e si avvicinò di nuovo alle amiche. «Raccontargli l'intramontabile scusa del pigiama party a casa di un'amica. Ci cascano tutti.»
Nadia rifletté in silenzio sui pro e i contro dell'invito. Nella sua testa iniziarono a fluttuarle migliaia di interrogativi, che la mandarono in tilt. Avrebbe dovuto veramente fidarsi di loro? Alla fine cancellò dalla mente quell'ultimo pensiero e decise di mettere a tacere la vocina contrariata e in allerta della sua coscienza. «Be', in effetti potrei provarci. Credo che se lo aspetterà che prima o poi mi faccia delle amiche, qui a Roma.»
«E che amiche», rettificò Giada, sorridendo.
Anita si avvicinò a Nadia e le lanciò uno sguardo serio. «Non ci darai buca all'ultimo momento, vero? Perché questo ci renderebbe davvero, davvero, molto deluse da te.»
«Non lo farò», dissentì risoluta. «Ora però devo tornare a casa, o mio padre inizierà a darmi per dispersa.»
«Ricordati la scusa del pigiama party.» Penelope le ammiccò, con la borsa alla spalla e la giacca sottobraccio, pronta a uscire dalla classe.
Anita batté le mani per attirare l'attenzione di tutte. «L'appuntamento è domani sera alle otto di fronte al parcheggio del Machiavelli. Vi passo a prendere con l'auto privata di papà, d'accordo?»
Tutte annuirono. Nadia prese lo zaino dal banco e se lo mise in spalla. «A domani, allora. E grazie ancora per l'invito.» Le salutò e uscì velocemente dalla classe.
Anita la seguì con gli occhi finché non scomparve dalla sua visuale, poi sorrise, incrociando le braccia sul petto. «Il piacere è tutto nostro.»
STAI LEGGENDO
Tutto quello che ho sempre cercato
Любовные романыNadia Savini ha 17 anni e una vita apparentemente tranquilla, trascorsa in un piccolo paese della bassa Toscana insieme al padre. Orfana di madre già da pochi anni dopo la sua nascita e in una condizione economica familiare per nulla agiata, sa beni...