«Se non la smetti di scendere in ritardo, giuro che un giorno di questi ti lascio a piedi», la minacciò Mattia con il sopracciglio destro teso all'insù. Stava aspettando Nadia sotto casa sua da venti minuti, tamburellando con le dita sul cruscotto e lanciando occhiate torve all'orologio della macchina. Quando finalmente era scesa, l'aveva fulminata con lo sguardo.
«Quante volte devo chiederti scusa?» Nadia chiuse lo sportello trafelata. «Non riuscivo a trovare le chiavi di casa. E senza di quelle mio padre non mi avrebbe fatta uscire.»
«Sai che stiamo andando al cinema, vero?»
Lei alzò gli occhi al cielo. «Certo.»
«Quindi sai anche che se arriviamo in ritardo, il film comincerà lo stesso anche senza di noi, giusto?»
«Dai, non c'è molto traffico per strada. È sera, puoi andare un po' più veloce.»
«Ma non faremo in tempo per prendere i pop-corn. E questo ti renderà estremamente in debito con me, lo sai?»
Nadia rise e si allungò sul sedile per schioccargli un bacio sulla guancia. «Vorrà dire che li prenderemo durante la pausa.»
Lui le rivolse un'occhiata sbieca. «D'accordo, Miss Sono-sempre-in-anticipo. Solo, la prossima volta che intendi fare così tanto ritardo però dimmelo... Almeno prenoterò per il film successivo.» Ingranò la quinta e filò lungo il rettilineo che portava al Grande Raccordo Anulare.
Mattia parcheggiò nel posto auto più vicino all'ingresso del centro commerciale. I negozi erano chiusi ormai e le uniche persone che si vedevano erano tutte dirette al cinema multisala.
Nadia ammirò il colosso illuminato che aveva davanti agli occhi. «E pensare che dove stavo io il cinema è stato ricavato dal seminterrato di un vecchio supermercato... O almeno credo.»
«Un giorno mi ci dovrai portare, lo sai? Finora mi immagino la tua cittadina come il paese di Heidi.»
«Be', diciamo che le somiglianze ci sono. Solo che sta in Toscana, ai piedi di collina, e non in mezzo alle Alpi», rifletté Nadia.
Una volta entrati nel cinema, Mattia prese i biglietti per il film e riuscì a comprare anche i pop-corn. Quando entrarono in sala, la pubblicità era cominciata da dieci minuti. Si misero seduti nei posti che gli erano stati assegnati e si godettero il film fino alla fine.
«Non era male.» Mattia si stiracchiò la schiena, mentre uscivano dalla sala un'ora e mezza dopo.
Nadia aprì la porta che dava sull'esterno del cinema e fece spallucce. «Alcune battute erano scontate e i personaggi avevano un'introspezione profonda quanto un foglio di carta.»
«Vorrà dire che la prossima volta ti porterò a vedere un documentario sulle farfalle», ribatté lui, sbadigliando subito dopo. «Muto. E in bianco e nero, per giunta.»
«Oh, sì. Sarebbe fantastico!»
Mattia la bloccò, di fronte all'uscita del cinema. «Stavo palesemente scherzando, Nadia», rise, scuotendo la testa. «Quella è roba da... bambine sognatrici. Perché allora non andare a vedere i cartoni sui mini pony e sulle principesse rinchiuse nelle torri dei castelli?»
«Perché non capisco mai la tua ironia?»
«Perché sei troppo ingenua», rispose Mattia. Avvicinò la bocca alla sua tempia e le diede un bacio. «Ma mi piaci così.»
La porta scorrevole si aprì di fronte a loro e una folata di vento gelido entrò nel cinema. Nadia si strinse nella giacca. «Vorrei che la macchina fosse parcheggiata qui dentro», mormorò, con il viso sepolto nella sciarpa di lana.
«Dai, muoviamoci.» E dopo essersi fatti coraggio, uscirono dal cinema, spinti dal vento alle loro spalle.
Fuori era buio e i lampioni emettevano una luce talmente fioca da non riuscire a illuminare bene il parcheggio. Mattia accese la torcia del telefono per far luce e provò a individuare tra le altre macchine la sua. «Ci mancava questa...» si lamentò.
«Ma dove abbiamo parcheggiato? Sto congelando.» Nadia si guardò intorno, battendo i denti.
«Eccola, laggiù!» Mattia indicò la sua auto, parcheggiata accanto a un pick-up nero. Quando la raggiunsero, passò dalla parte del passeggero e aprì lo sportello. «Signorina.»
Tra l'ululare del vento si sentì il rumore di una macchina avvicinarsi. Nadia e Mattia alzarono lo sguardo, incuriositi. Una grossa auto metallizzata passò accanto a loro a passo d'uomo. Andava piano. Troppo piano per essere un solo passante. Quando fu abbastanza vicina, alzò i fari abbaglianti, puntandoli verso i due ragazzi.
Mattia richiuse lo sportello del passeggero e si mise accanto a Nadia. Poggiò una mano sopra gli occhi per coprirsi dalla luce. «Abbassa i fari, stronzo!» urlò al conducente dell'auto.
Dopo essersi fermate un momento, le ruote della macchina scura ripresero a muoversi, sempre con lentezza. Aveva i vetri oscurati e non si vedeva nessuno dentro. Poi, d'un tratto, il finestrino sul retro si abbassò di una tacca e da lì fece capolino un piccolo obiettivo nero.
«Ma che cazzo...» sussurrò Mattia, stringendo gli occhi per focalizzare meglio.
Nadia alzò lo sguardo verso il ragazzo e gli tirò la camicia. «Mattia, andiamocene. Forse vogliono derubarci o sono malintenzionati che cercano guai... per favore, andiamo.»
Si sentirono due clic elettronici e l'obiettivo che sbucava dal finestrino si illuminò due volte, rischiarando appena il buio del parcheggio, ma illuminando bene le loro facce.
«È un flash?» Mattia si passò una mano sul volto. «È un flash, cazzo! Ci stanno fotografando!»
La ragazza impiegò qualche secondo a capire cosa stesse succedendo e non riuscì a fermare Mattia, quando lo vide avvicinarsi con fare minaccioso alla macchina.
«Figlio di puttana! Esci, se hai il coraggio!» urlò, battendo un pugno sulla carrozzeria nera. «Oppure fai il gradasso solo dietro a una macchina dai vetri oscurati?»
In risposta, il motore dell'auto rombò e schizzò via poco dopo, dileguandosi nel buio in qualche secondo. Quando partì, dalla fessura nel finestrino sul retro svolazzò un bigliettino di carta. Fece due piroette nell'aria e si depositò a terra.
«Guarda, hanno lanciato qualcosa.» Nadia indicò il pezzetto di carta sul cemento. «Prendilo, prima che lo porti via il vento. Potrebbe esserci utile.» Si avvicinò a Mattia, che però la bloccò.
«Aspetta, vado io», disse, raggiungendo il bigliettino a terra. Lo prese in mano e lesse. Una, due volte. Lo rigirò in mano, cercando altri segni, ma niente. Sospirò e abbassò le braccia lungo i fianchi.
«Che c'è scritto?» chiese Nadia, dopo averlo raggiunto.
La faccia di Mattia era imperscrutabile, gelida e marmorea. Porse il biglietto a Nadia come un robot. «Credo che ci abbiano scoperti.»
Nadia aggrottò le sopracciglia, confusa, e un senso di panico la pervase. Afferrò il pezzo di carta colorato, cercando di trattenere il tremore nella mano. Deglutì nervosa e se lo avvicinò agli occhi.
"Avere segreti è facile. Il difficile è tenerli nascosti".
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Tutto quello che ho sempre cercato
RomanceNadia Savini ha 17 anni e una vita apparentemente tranquilla, trascorsa in un piccolo paese della bassa Toscana insieme al padre. Orfana di madre già da pochi anni dopo la sua nascita e in una condizione economica familiare per nulla agiata, sa beni...