Capitolo 9.

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Angolo dell'autrice.
Nella foto in alto, Mattia Silvestre.


Nadia si voltò, con il vento che le spostava i capelli sul volto e il sole fisso sugli occhi, e vide Mattia osservarla dal vetro del finestrino, impassibile. Continuarono a guardarsi con ostilità per un'altra manciata di secondi, finché lui non le aprì dall'interno della Mercedes lo sportello del passeggero. «Sali.»

Lei inarcò un sopracciglio, stupita da come quel ragazzo si sentisse nelle condizioni di darle ordini. «Veramente sto andando a casa. E so camminare bene sui piedi, ancora.»

Mattia distolse gli occhi dalla strada e li poggiò su Nadia, spazientito. «Entra, devo parlarti.»

Nadia rimase con gli occhi incastrati in quelli color cioccolato del ragazzo. Rifletté su cosa fosse giusto fare nell'arco di dieci secondi, poi sospirò ed entrò nell'abitacolo lussuoso dell'auto.

Il compagno allacciò la cintura di sicurezza e ripartì, stavolta meno velocemente. Teneva la mano sul cambio come se volesse spaccarlo, e dall'aria sembrava parecchio irritato. «Ti avevo detto di stare attenta a chi ti facevi amico al Machiavelli, stamattina. Ma da quanto ho potuto notare, non te n'è fregato un granché.»

«Ti stai riferendo a Diego?»

Mattia sbuffò. «A lui e alla sua combriccola. Quello che mi domando è se lo hai fatto di proposito, per vendicarti del fatto che mi sono comportato da stronzo con te stamattina.»

«A me sono sembrati dei tipi a posto, per quel poco che ci ho parlato. E, no, non sono una tipa da vendette, io, né tanto meno una che spara giudizi negativi sulla gente con la tua stessa facilità», replicò Nadia, alzando gli occhi su di lui.

«Hai detto bene, ti sono sembrati. In realtà, sono dei benestanti senza obiettivi. Si divertono a sprecare il tempo in attività poco utili e amano creare problemi agli altri.»

«Ma sono stati gentili con me. Cosa che tu e i tuoi amici, invece, non avete nemmeno provato a fare.»

«È solo apparenza, quella. Tra poco ti immischieranno in qualche loro affaraccio dal quale difficilmente ne uscirai pulita, e quando ne avranno abbastanza di te – o tu di loro - ti molleranno su due piedi.» Mattia frenò la macchina al semaforo e guardò la compagna. Stava giocherellando con lo zaino, poggiato sul tappetino tra le sue gambe.

«Io non mi fido di te», ribatté alla fine lei, prendendosi una lunga pausa di riflessione. «E poi anche loro mi hanno detto di tenermi lontana da voi.»

Adesso il compagno rise, palesemente divertito. Si passò la mano che non teneva sul volante in mezzo ai capelli castani e scosse più volte la testa. «Hanno la faccia come il culo...»

«Perché avrebbero dovuto mentire?»

«Perché sono falsi e ipocriti, Nadia. Ecco perché.»

«Perciò, voi siete i bravi ragazzi della situazione.» Lei sorrise ironicamente. Sentì l'adrenalina affluirle nelle vene e in quell'attimo realizzò di essere viva.

«I miei amici hanno sbagliato a parlare con te, stamattina in classe. Non hanno ancora capito che l'arma migliore contro le persone diverse da noi è l'indifferenza

Nadia incassò il colpo in silenzio, con la speranza di non essere sopraffatta dal significato reale di quelle parole. Si sentì svuotata dentro e cercò di ricacciare le lacrime indietro, per non mostrarsi debole di fronte agli occhi di quella statua ghiacciata con l'aspetto di un bel ragazzo.

Perché doveva ferirla in quel modo?

Prese coraggio e inspirò una boccata d'aria. «Allora perché mi hai messa in guarda, stamattina? Perché non hai seguito i tuoi amici al ristorante e mi hai seguita fino a qui, con l'intento di parlarmi?» Le parole le scivolarono fuori dalla bocca in un sussurro strozzato, tradite dall'emozione.

Il volto di Mattia rimase immobile. Né un battito di ciglia, né un piccolo sorriso. Nulla. «Te lo ripeto, è pura cortesia. Ho conosciuto una ragazza che studiava al Machiavelli prima di te e l'ho vista finire sulla cattiva strada a causa di Diego Neri. Alla fine ha lasciato la scuola. Quindi, non pensare che dietro la mia cortesia ci sia qualche secondo fine, perché sbaglieresti.»

Nadia rimase per un attimo spiazzata dalla sua risposta, ma poi scosse la testa, come a voler cancellare la sua ultima frase. «Preferisco che uno sconosciuto non si intrometta nella mia vita. Posso scegliere da sola le mie amicizie.»

«Grandioso, buon per te. Sei una donna: sei libera di fare ciò che vuoi per natura.» Mattia sorrise, scoccandole l'ennesima frecciatina velenosa.

A quel punto Nadia non resistette più. «Okay, adesso finiscila di trattarmi come se fossi una stupida e di usare questo tono saccente con me! Tu non sei nessuno.» Le lacrime che aveva accumulato fino a quel momento superarono la barriera di sicurezza e cominciarono a rigarle le guance. Per non farsi vedere, così arrabbiata e fragile, si voltò verso il finestrino e passò una mano sul viso.

Mattia rimase spiazzato dalla sua sfuriata e accostò la macchina al lato, accanto a dei taxi parcheggiati. Spinse il pulsante delle quattro frecce e tirò il freno a mano. Poi si mise a guardarla e, con uno sguardo impassibile, le afferrò il volto con la mano, costringendola a girarsi dalla sua parte. «Stai piangendo?»

«Lasciami stare. Non guardarmi nemmeno.»

Lui sospirò e tirò fuori dal cassetto un pacchetto di fazzoletti e glielo porse. «Smettila.»

«Non la voglio la tua pietà. Puoi anche ficcartela dove non sbatte il sole.»

«E tu vorresti diventare amica di quel gruppo di idioti?» Mattia la fissò in tralice, colpito dalla sua reazione. «Se reagisci così per una discussione tranquilla, non resisterai una settimana in compagnia loro. Sanno essere molto più cattivi delle mie parole.»

Nadia alzò lo sguardo verso il compagno e lo fissò, sprezzante e disarmata. Gli occhi, rossi per il pianto, le risaltavano come diamanti, incastonati in una cornice di capelli biondo sole. «Tu non capisci... Non hai idea di cosa significhi essere guardati con disprezzo da tutti, solo perché mi hanno accettato in una scuola privata con una borsa di studio. Non puoi capire com'è trasferirsi in questa città del cazzo e lasciarsi una vita intera alle spalle. Non puoi...», sussurrò, a corto di parole. Stava iniziando a partorire frasi farfuglianti, riflesso del turbinio di emozioni che provava dentro. «Non puoi capire com'è sentirsi soli.»

Mattia rimase in silenzio, colpito da quelle parole dette con tanta foga. Non gli era mai capitato di dover assistere a una scena così surreale. Aveva inquadrato subito Nadia come una introversa e particolarmente sensibile, ma dopo aver ascoltato le sue parole, si era in parte ricreduto: quella ragazza aveva carattere, ma temeva di restare sola più di quanto non lo fosse già.

Per qualche attimo, si sentì in conflitto con se stesso: una parte di lui la comprendeva, mentre l'altra rimaneva incassata all'interno della sua ferrea superiorità. «Hai ragione», disse alla fine, reimpostando un tono di voce neutrale. «Io non posso capirti e non ho neppure voglia di farlo. Abbiamo due mentalità che viaggiano binari paralleli e non ci sarà mai un punto d'incontro, tra di noi.»

Nadia annuì, lo sguardo ancora perso avanti a sé. Non poteva vincere una battaglia contro i pregiudizi. Le convenzioni sociali, le etichette da fabbrica, erano le macchie più difficili da debellare: ti restavano appicciate addosso, anche dopo diversi tentativi di farle venir via, e trovavano la strada per entrarti dentro e corroderti ogni traccia di umanità che avevi ancora addosso. «Non ti ho chiesto di diventare mio amico, Mattia», mormorò, «ma solo che mi lasci in pace. Pensi di poterlo fare?»

Mattia strinse le mani sul volante e tornò a guardare la strada, come impaziente di ripartire. «Puoi scendere, adesso. Ciao, Nadia.»

Lei ricambiò il saluto e scese dalla macchina, richiudendosi lo sportello dietro. Si guardò intorno e realizzò di trovarsi a poche centinaia di metri dalla sua palazzina.

Nel frattempo, la Mercedes nera era già sfrecciata in mezzo al traffico confusionario della città.

Tutto quello che ho sempre cercatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora