Capitolo 4.

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La sveglia squillò sul comodino con un suono metallico e fastidioso. Nadia la spense con una manata e si stropicciò gli occhi, assonnata. Dopo pochi minuti Guglielmo le bussò alla porta per accertarsi che si fosse svegliata, così si alzò dal letto e, ancora con gli occhi chiusi, si rinchiuse in bagno a prepararsi. Dopo essersi sciacquata il viso con l'acqua fredda, si pettinò i capelli biondi e decise di lasciarli sciolti sulla schiena. Si guardò allo specchio, così insicura del suo aspetto fisico per quel primo giorno di scuola, e si mise giusto un po' di burro cacao sulle labbra e di rimmel sulle ciglia, per dare un'apparenza di trucco.

Dieci minuti dopo era pronta in cucina, con lo zaino in mano e il nervosismo attorcigliato alla bocca dello stomaco come un cappio. Anche Guglielmo, già cambiato per andare a lavoro, si stava destreggiando tra i fornelli, nel tentativo di cucinare una colazione rapida e appetibile.

Nadia sorrise, mentre lo vide in difficoltà tra i pentolini e le tazze: suo padre era bravo in molti campi, ma la cucina non rientrava in uno di quelli. Gli si mise di fianco e lo scansò dal fornello, per poi mescolare il latte caldo e versarlo in due tazze. «Sono un po' preoccupata per oggi», ammise, mentre spalmava la marmellata su due fette biscottate.

«Bocciolo, andrà tutto bene. Vivila come una nuova avventura», la rassicurò Guglielmo con un sorriso. Posò la tazza nel lavandino e prese dall'appendiabiti la giacca a vento stropicciata e una piccola ventiquattrore. «Ora devo proprio scappare. Non posso permettermi di arrivare tardi il primo giorno di lavoro, e nemmeno tu dovresti.»

«Sì, credo che sia arrivata l'ora che mi incammini anche io.»

Guglielmo le diede un bacio sulla fronte e la spinse fuori dalla porta dell'abitazione, richiudendola dietro di sé con due mandate di chiave. «Buona giornata, bocciolo.»

Scesi al piano terra, si diressero insieme all'uscita del palazzo. Quando la ragazza varcò il cancello, il padre l'aveva già salutata con la mano e aveva raggiunto la macchina, parcheggiata al lato del marciapiede.

Gli attimi che seguirono furono necessari per farle realizzare che era sola, in quel momento, e che per la prima volta, si trovava in totale assenza di un viso conosciuto o di un luogo familiare. Una spiacevole sensazione di ansia, mescolata a un senso generalizzato di disorientamento, iniziò a mordicchiarle gli stinchi, arrampicandosi sempre più su fino a raggiungerle la nuca. Per un attimo, fu quasi tentata di prendere le chiavi dalla giacca e ritornare in casa, ma poi scosse la testa e prese un respiro per calmarsi.

Sarebbe andato tutto bene.

Una volta che si fu un po' più tranquillizzata, si fermò in mezzo al marciapiede e si guardò intorno, inizialmente spaesata: le macchine sfrecciavano su e giù per la carreggiata a velocità elevata e i suoni dei clacson si andavano a miscelare con le chiacchiere dei passanti, che camminavano qua e là caoticamente.

Nadia poggiò lo zaino a terra e tirò fuori un foglietto con annotato l'indirizzo del liceo, dopodiché prese il cellulare e impostò la destinazione sul navigatore. Su padre le aveva spiegato a grandi linee la strada che avrebbe dovuto seguire, ma non si sentiva così sicura di rischiare la sorte nel suo primo giorno da cittadina romana.

Avanzò per qualche metro, spostando gli occhi dallo schermo del telefono alla strada, finché non intravide stagliarsi di fronte a sé un grande incrocio a quattro strade che avrebbe dovuto oltrepassare. Nel farlo, però, non prestò minimamente attenzione alle strisce pedonali, presa com'era a studiare il percorso sul navigatore, né tanto meno notò che il semaforo per i pedoni era diventato rosso, ignorando il pericolo a cui stava andando incontro.

Poi accadde tutto in un attimo. 

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