Capitolo 18.

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Era da poco passata la mezzanotte e le cinque ragazze si trovavano davanti alla discoteca. Guastavo le aveva accompagnate in auto fino all'ingresso del locale e si era congedato subito dopo, augurando loro una buona serata.

Nadia studiò attentamente la struttura a due piani, con le pareti dipinte di nero. L'insegna era grande e lucida, con su scritto a caratteri cubitali "Élite". Di fronte alla porta d'ingresso era steso un tappeto lungo e rosso, che partiva dal marciapiede e arrivava fino all'interno del locale. Per essere appena la mezzanotte, c'era già parecchia gente di fuori, per lo più gruppi di ragazzi intenti a fumare e chiacchierare. Di fronte a loro, in prossimità dell'ingresso, erano stanziati due omoni in smoking dall'aria burbera, che controllavano i documenti di chiunque entrasse nel locale.

Nadia si accorse subito che qualcosa stonava, in quel quadro generale: si guardò intorno e osservò con attenzione le persone che erano in fila per entrare nella discoteca. Indossavano tutte degli abiti molto eleganti e sobri, a differenza sua.

«Mi sento fuori luogo», ribadì alle compagne. Un senso di preoccupazione le iniziò a salire lungo la schiena, lasciata scoperta dallo scollo posteriore del vestito.

Le ragazze alzarono contemporaneamente lo sguardo su di lei. «Non dire assurdità, Nadia. Stai benissimo», la rassicurò Anita. «Adesso mettiamoci in fila, altrimenti ci faranno entrare domani mattina. E non mi sono messa questo completo per sfoggiarlo alla sicurezza del locale.»

Le altre risero e si incanalarono nella fila. Nadia le seguì, con lo sguardo basso e un passo a dir poco altalenante. Non sapeva se fosse una sua impressione, ma da quando era arrivata, aveva sentito addosso a sé gli sguardi di tutti.

Quando arrivarono di fronte all'ingresso del club, i due uomini in completo scuro presero i loro documenti e le prevendite per controllare che i nomi delle ragazze fossero in lista e glieli resero poco dopo, staccando il cordone di velluto intrecciato che separava l'ambente interno. Ma non appena fu il turno di Nadia, uno dei due, con i capelli rasati e un'aria inespressiva stampata sul volto, allungò il braccio per bloccarle l'entrata. «Signorina, questa è una serata formale.»

Anita e le altre si fermarono qualche metro dopo i due buttafuori, in attesa della ragazza, e guardarono la scena in tutta tranquillità, come se non fosse successo niente di strano.

Nadia avvampò in volto e sentì dietro di sé delle risate divertite. Due ragazze si stavano gustando la scena, le mani davanti alla bocca per nascondere le battute sussurrate. «Io... sì, credo di averlo notato», balbettò, quasi in un sussurro. Si strinse le braccia attorno al petto nel vano tentativo di mascherare il suo vestito, a dir poco eccentrico.

«Non so se l'hanno avvertita, ma ci riserviamo la selezione all'ingresso, e con questo abbigliamento non possiamo proprio farla entrare.»

Nadia accusò il colpo in silenzio, con la bocca aperta per la sorpresa e un senso di offesa che le formicolava sotto la pelle. «Non può mandarmi via. Ho una prevendita e le mie amiche sono appena entrate!»

«Signorina, liberi l'ingresso o si vada a cambiare, quantomeno.»

Sul volto di Nadia si dipinse una smorfia incredula. Non poteva credere che quella scena si stesse verificando davvero, e per giunta sotto gli occhi di tutti gli invitati in fila dietro di lei. Adesso, l'unico appiglio di salvezza rimasto era riposto nelle compagne: solo loro l'avrebbero potuta aiutare a destreggiarsi in quella situazione così scomoda e assurda che si era creata all'ingresso dell'Élite. Si sporse così dietro ai due uomini e iniziò a sbracciarsi. Le ragazze la stavano ancora aspettando, mentre ridevano e parlottavano tra loro. «Anita! Anita, vieni qui, per favore!»

La ragazza alzò la testa con uno sguardo preoccupato e si affrettò a raggiungere Nadia all'ingresso. «Gesù, ma che succede?»

Nadia scosse la testa. «Non vogliono farmi entrare.»

«L'abbigliamento informale non è ammesso, stasera», le spiegò l'uomo sulla destra, voltandosi verso Anita.

Lei rise in modo civettuolo e gli poggiò la mano sulla spalla. «Però si possono sempre fare le eccezioni, no?», replicò, giocherellando con i bottoni della sua giacca. «Mi stavo chiedendo se potessimo scambiare due parole in privato... Io e te

L'uomo finse un colpo di tosse per coprire l'imbarazzo del momento e si schiarì la voce, nervoso. «Solo se è inerente al lavoro, signorina.»

«Ti ruberò giusto due minuti.» Anita gli ammiccò senza pudore, poi si girò verso Nadia, ancora incredula di fronte alla scena. «Aspetta qui, tesoro. Vado a risolvere questo brutto inconveniente e torno», le riferì, mentre si allontanava dall'ingresso in compagnia dell'uomo.

Nadia annuì e li vide spostarsi nell'angolo più nascosto dell'atrio. Aguzzò lo sguardo e osservò Anita accarezzare il braccio del buttafuori, risalendo fino alla guancia. Il tipo non si mosse, né si tirò indietro. Allora lei si avvicinò ancora di più al suo corpo, azzerando quasi le distanze. Con i tacchi era alta quasi quanto lui e non trovò difficoltà ad avvicinargli le labbra a pochi centimetri dalle sue.

Nadia sbarrò gli occhi, stupita, e cercò di sporgersi con la testa per sentire cosa si stessero dicendo, ma il tentativo fu inutile: il rumore della musica dall'interno del locale sovrastava tutto il resto.

Anita stava parlando in modo suadente all'orecchio del tizio, con la bocca semichiusa e gli occhi persi a fissare il vuoto. Dopo qualche secondo lui annuì e la ragazza gli sorrise, infilandogli una bustina bianca nel taschino della giacca nera in modo discreto. L'uomo si sbrigò a ricomporsi e si avviò verso l'ingresso, con Anita al fianco. Aveva il fiato corto e le guance paonazze.

Il collega lo guardò con aria interrogativa, ma lui scosse la testa e lasciò cadere l'argomento. «La signorina può entrare», sentenziò alla fine. Guardò Nadia e le fece un piccolo cenno con la testa. «Benvenuta all'Élite

Nadia rimase senza parole e biascicò un grazie poco convinto. Senza arrovellarsi troppo su cosa avesse detto Anita per convincere il buttafuori a farla entrare, la seguì in silenzio lungo l'ingresso.

«Non sentirti a disagio per quello che è successo», le disse Anita con una scrollata di spalle. Aveva aperto la pochette e si stava rimettendo uno strato di lucidalabbra color ciliegia. «Certe persone non sono proprio fare il proprio lavoro. È inammissibile quello che ti ha detto, davvero», commentò, schifata, prima di entrare in una grande sala, piena di persone.

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