Capitolo LXVII

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Harry si accasciò sul tappetino su cui allenava gli addominali. Rose gli aveva imposto cinque serie da venticinque, dopo avergli fatto fare esercizi faticosi, e il ragazzo era letteralmente senza fiato.
Fissò il soffitto bianco della piccola palestra e cercò di recuperare il fiato.
Ad un tratto sentì un peso su di sé e sgranò gli occhi, colto di sorpresa.
La sorpresa fu ancora più grande quando si rese conto che, seduta a cavalcioni su di lui, c'era Rose.
"C-che fai?" Le chiese, spiazzato. "Passi dal non parlarmi a questo?"
Rose scrollò le spalle, mascherando con indifferenza ciò che provava davvero.
"Fa parte dell'allenamento. Prova a resistermi ed evita i commenti..." Nell'aria aleggiava un "Harry", che non arrivò. "...Styles".
Almeno era qualcosa, pensò Harry. Lo distingueva dagli altri, anche se suonava molto astioso come soprannome.
La ragazza prese a strofinare il proprio bacino contro quello di Harry, in modo tremendamente esperto.
Il ragazzo sibilò tra i denti e la prese istintivamente dalle natiche per condurla nel movimento.
La ragazza gli prese le mani e le allontanò malamente.
"Ti ho detto di resistermi!" E accompagnò il rimprovero ad uno schiaffo.
Il ragazzo rimase senza fiato e la guardò negli occhi, confuso dal gesto.
La ragazza strinse le labbra in una linea e si scostò il ciuffo nero in un gesto involontariamente sensuale.
Harry annuì appena, deglutendo rumorosamente.
"Scusa." Mormorò.
Sentì nuovamente il corpo della ragazza strofinarsi al proprio. Il ragazzo strinse il tappetino nei pugni per non affondare le dita in quel sedere sodo, che amava anche quando era morbido e più grosso.
Strizzò gli occhi per evitare anche di guardarla, cercando di non cedere nemmeno alla forma delle sue labbra, ai suoi occhi scuri, alla forma scolpita del suo corpo. Ma serrare la vista non servì.
Ad un tratto sentì le sue labbra morbide contro il profilo della mascella, e il suo profumo invadergli le narici. Quello non era mai cambiato.
Harry sentì i nervi distendersi e le mani presero ad accarezzarle i capelli. Quella era esattamente la posizione di quando finivano di fare l'amore.
Rose si alzò repentinamente.
"Cazzo, ma fai schifo! Devi stare fermo oppure cercare di respingermi!"
Harry sentì le lacrime minacciare di scendere, così chiuse le palpebre repentinamente e annuì.
"È la prima volta che ci provo. Non è facile."
"Lo so, ma se ti è così difficile chiamo Jennifer."
L'idea di quel tricheco in formato umano che aveva ridotto Katherine a schifo lo fece talmente innervosire da fargli esclamare un "NO!" nervoso.
Rose fece un sorrisino malizioso e cattivo, che Harry sapeva non le appartenesse affatto.
"Appunto!"
Ancora una volta, il bacino di Rose si mosse contro quello di Harry, strofinandosi sulla sua erezione ben formata da un bel po'.
Il contatto con la consistenza dura la fece gemere e si morse il labbro inferiore per cercare di trattenersi, con il risultato di sembrargli ancora più affascinante e irresistibile.
Harry si trattenne dal spingere il bacino contro il suo e controllò il respiro.
Le mani sottili della ragazza percorsero tutto il busto, partendo dall'addome fino al petto, sul quale si appoggiarono.
Poco dopo le labbra presero a percorrere la linea della mascella ben definita, partendo da sotto il lobo.
Harry respirava regolarmente, tentando di rilassarsi, ma in quelle condizioni era praticamente impossibile.
Il respiro caldo di lei soffiava sulla sua pelle e le sue labbra sul proprio corpo erano impossibili da resistere. Le labbra erano ormai giunte a metà mascella, sulla quale Harry aveva ricevuto parecchi pugni.
"Resisti" pensava il ragazzo. "Resisti o non potrete avere neanche questo momento insieme."
Nel frattempo il bacino della ragazza si strofinava sempre più velocemente e, di conseguenza, l'orecchio di Harry si riempì dei gemiti sommessi di lei.
"Resisterle significherebbe che non la ami più. E che ti sta bene che lei abbia scelto questa vita lontana da te. Che ti sta bene che stia con Louis. Resisterle significherebbe che non ti importa più."
Le labbra di lei erano ormai sul mento di lui.
Immediatamente quelle di lui collisero con quelle di lei. Le mani di lui scattarono e la presero dalle gambe, quelle di lei gli sciolsero il codino e passarono tra i suoi capelli.
I loro respiri caldi si mischiarono, mentre le labbra andavano da sole, sapendo già benissimo cosa fare.
Le dita di lei gli tirarono appena i capelli alla nuca, eccitandolo con il solo gesto, quelle di lui affondarono nel suo sedere.
Le loro lingue presero ad intrecciarsi e a giocherellare tra loro, quando lei interruppe bruscamente il bacio e si allontanò, alzandosi in piedi.
"Ho capito, chiamo Jennifer."
Harry si alzò dal tappetino e la bloccò da un polso.
"A cosa servirebbe?" Domandò ancora Harry, non contento della spiegazione. "Ad umiliarmi ancora? A prendermi in giro? A lasciarmi di merda ancora una volta? È questo che cerchi di fare, Rose?!" Le lacrime gli rigavano il volto, la rabbia gli accendeva gli occhi e l'amore gli faceva battere il cuore all'impazzata.
Rose cercò di divincolarsi dalla presa, ma Harry era stanco di lasciarla andare.
"Lasciami" sibilò tra i denti lei, ma sostenendo il suo sguardo.
"Rispondimi!" Gridò lui, prendendole anche l'altro polso e sbattendola al muro. "Rispondimi." Mormorò in modo più sommesso, ma non meno autoritario.
Rose deglutì rumorosamente. Quel tono le ricordava quando era sua prigioniera. Forse lo era ancora. Anzi, lo era e basta.
Ma gli occhi erano completamente diversi da quelli di oltre un anno prima. Imploravano un po' di pace, un po' di amore, qualche bacio e carezza.
Sentì un groppo annodarle la gola. Perché Ian le faceva questo? Si rese conto di non poter andare avanti a lungo, mentendo a sé stessa e soprattutto all'uomo che amava.
Ma non poteva piangere davanti a lui. Non sapeva perché, ma non doveva.
"Serve a rimanere vivo in questa villa, Styles."
Strattonò malamente i polsi e si allontanò, sotto lo sguardo confuso e deluso di Harry.
"Da domani ti allenerai con Jennifer. Sono stufa di te e del tuo culo pigro."
Detto così, camminò fuori dalla palestra a grandi passi fino alla propria camera, dietro la cui porta si accasciò e pianse fino a tardi.

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