Capitolo XIV

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Song: Fix You - Coldplay

Louis abbassò la maniglia e fece vagare lo sguardo nella stanza alla ricerca del suo obiettivo. Appena la vide, con le ginocchia al petto, fece un sorrisetto.
"Katherine" la chiamò, pregustando già il suo corpo nudo. La ragazza gli puntò gli occhi addosso.
"D-devo già...?" lasciò la domanda in sospeso perché le mancò il fiato.
"No, non ancora." Mormorò, sorpassando Zayn e avvicinandosi a lei. "Non hai un orologio qui, quindi sono venuto a ricordarti che manca solo mezz'ora."
La ragazza annuì, senza riuscire a reprimere un brivido. Louis si protese verso di lei e stampò un bacio sul suo collo, facendola sobbalzare.
Poi si allontanò, facendole l'occhiolino ed uscì dalla porta. La ragazza lo fissò andar via, con il mento che le tremava.

Rose strinse i pugni talmente forte da farsi venire le nocche bianche. Poi le lacrime le bagnarono il viso, ma ormai non era più tristezza, era rabbia mista a disgusto.
Ma Harry la percepì come l'ennesima dimostrazione di debolezza e avvolse le braccia, da sempre abituate a gesti cattivi, intorno alla ragazza.
Rose si irrigidì di botto, ma non lo respinse apertamente. Compì piccoli gesti con le mani per allontanarlo. Harry si sentì avvampare e borbottò qualcosa.
"Scusa, è che mi sembrava ti stessi per spezzare. Cercavo di tenere i pezzi insieme."
Rose sbatté le palpebre, cercando di assimilare le parole. Poi chiuse gli occhi, come se parlare le costasse una fatica immensa.
"Ma io sono già rotta." Mormorò, ma dietro quella semplice frase Harry percepì tanto altro dolore. Le parole gli si bloccarono in gola e si limitò a guardarla con lo sguardo più compassionevole che riuscì a trovare.
Poi chiuse di scatto gli occhi, sentendoli bruciare.
"C-cosa vuoi da me? V-v-vuoi fare come Tomlinson?" chiese la ragazza, schiacciandosi contro la parete.
Harry rimase di sasso, poi fece un sorriso amaro.
"No, voglio solo aiutarti e aiutarmi" mormorò, posando nuovamente la mano sul suo polso.
La ragazza allontanò la sua mano in modo gentile, e il contatto delle loro dita lo fece rabbrividire. Rose notò che Harry aveva i polpastrelli rotti e corrugò le sopracciglia.
Il ragazzo, nel frattempo, cercava disperatamente il suo sguardo.
"Io non ti aiuto" disse lei, a mo' di scusa.
"E posso aiutare te?"
La ragazza scosse la testa, trattenendo a stento i singhiozzi che la scuotevano.
Harry riuscì finalmente ad incontrare i suoi occhi scuri e accennò un sorriso.
"Io dico di sì"
"No, no, no" mormorava la ragazza. Harry si arrese. Aveva capito di essere il problema. Si alzò e andò in camera sua, barcollando sotto il peso del proprio cuore.
Tolse le coperte migliori dal proprio letto mentre piangeva. La sensazione delle lacrime calde e salate che gli rigavano il volto fu strana. Gli sembrava che quelle lacrime, fatte solo di acqua, pesassero come sassi.
Dopo aver piegato le coperte si sciacquò il viso e si guardò allo specchio. Il verde dei suoi occhi risaltava ancora di più con il rosso che lo circondava. Prese le coperte e tornò da Rose, con il viso asciutto.
Quando riaprì la porta la trovò intenta a rigirarsi tra le mani qualcosa di dorato. Si avvicinò e notò che era un piccolo girasole d'oro.
"Vieni" mormorò. "Stenditi su queste"
Le allestì un piccolo giaciglio con le coperte e la ragazza vi si adagiò sopra, con tutte le buone intenzioni di dormire.
Harry la coprì delicatamente, temendo di farle male con il solo sfiorare della coperta. Probabilmente se l'era immaginato, ma al ragazzo sembrò di aver sentito un "Grazie".
Rose provò a dormire. Chiuse gli occhi e si ordinò di rilassarsi, ma era un'impresa titanica in quel momento.
Il ragazzo invece crollò a dormire, con la schiena contro il muro freddo. Nel sonno sembrava più piccolo e buono, con gli angoli della bocca piegati in un lieve sorriso.
Rose lo fissò per tutto il tempo, guardando minuziosamente ogni piccola parte del suo volto. I capelli castani che gli incorniciavano il volto squadrato, le ciglia che facevano ombra sugli zigomi e il naso che ogni tanto si arricciava. Rose rise per l'ultimo particolare, sentendosi per un attimo una vera e propria bambina.
Harry mormorò qualcosa nel sonno, e fu udibile solo perché regnava il silenzio.
"Perdonami", sembrava dire.
Rose si rannicchiò di più nelle sue coperte e finalmente si addormentò.

Chiara si sentiva tremendamente in colpa. Aveva permesso a Luke di scivolare via dal proprio cuore come se fosse olio, e aveva lasciato tutto lo spazio a quel dannato ragazzo.
Sì, perché era dannato e lei si odiava per questo.
Si odiava, lo odiava e odiava quella situazione.
Di fronte a lei, Katherine cercava di sfuggire dalle braccia di Zayn, mentre singhiozzava.
Chiara aveva sempre avuto un talento per vedere metafore relative alla propria vita in ciò che la circondava. Se avesse finito la scuola, sarebbe stata brava in Letteratura.
E quello, sembrava proprio uno di quei casi, in cui la vita le offriva un'amara poesia davanti agli occhi.
Katherine sembrava Luke, e Zayn il cuore di Chiara. Zayn tentava di avvolgere le braccia intorno al corpo di Katherine, tentando di trattenerla a sé e rassicurarla, ma Katherine era troppo ferita e lo allontanava, facendogli capire che era troppo tardi e non poteva impedirle quel dolore.
Chiara affondò le unghie nelle proprie cosce fino a farsi venire le lacrime agli occhi, in modo da offuscarsi la vista. 
Non voleva vedere e non voleva rendersi conto che Luke, a differenza di Katherine, era lontano. Non voleva realizzare che lei, a differenza di Zayn, era da sola. Niall non era come Harry, che alla prima occasione era lì. E a Liam avevano espressamente negato di andarci. 
Da un certo punto di vista era anche meglio, rifletté Chiara, perché non voleva vedere quei lividi sul suo viso. Sarebbero serviti solo ad aumentare l'odio, la rabbia e il rancore per quel Tomlinson, che sin dall'inizio le aveva causato danni, rovinando il suo equilibrio. Prima l'aveva vinta, strappandola da Luke, poi, quando finalmente si era abituata al vecchio rifugio, aveva deciso di trasferirsi in quel dananto hotel, che odiava. E dopo, quando ormai era legata a Liam, Katherine e Rose faceva loro del male.
Chiara si ordinò di non pensarci. Non poteva permettersi di odiarlo, altrimenti sarebbe finita male, non tanto per lei, quanto per gli altri, che già subivano troppo. 
Abbassò le palpebre, stanca, e farlo le sembrò un gesto così facile. 
Si chiese se il suo cuore potesse obbedirle, per una volta, e spegnersi. 

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