Ballata delle parole

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Quando Hitler morì io c'ero.
Ero lì, ero il muro sopra cui riposarono le sue cervella.
Ero la sedia bagnata dai suoi fluidi corporei.
Ero il dolore di Eva Braun, la malinconia dei gerarchi, la futura allegria dell'armata rossa.
Ero un tamburo delle infinite marce vittoriose, ero la prima pianta nata in tempi di pace,
ero il piano Marshall e gli stati satellite, ero le 2 bombe e le migliaia di morti,
ero la bandiera della resa.

Non ero un vittorioso, questo proprio no, perchè di vittoriosi non ce ne erano:
non l'operaio, non l'artigiano, non la vedova.
Ma io ero la rabbia, ero un sommerso, un voluto da Dio, un diseredato.

Ero la vergogna, le marce, il freddo.
Ero il bicchiere dei morti suicidi, la loro pistola, il loro cappio.
Ero questo, ma prima ancora ero il guanto di Napoleone, il suo servo più fedele.
Domani ero l'omicida di Kennedy, il suo mirino, la collina da cui mirava.
Ero ovunque le pagine spingessero, ovunque mi tirassero la giacca.
No no, nessuna voglia di fuggire.

Signor poliziotto, non farò resistenza, mi arresti con tutta calma, non avrà che consenso da me!

Signor giudice, mi accusi pure di cose che fa lei in segreto;
"la legge è uguale per tutti" è malevola ironia, divertente però.

Signor secondino, mi picchi fino a ricoprirmi di sangue, anzi no, non lo faccia, non vorrei sporcarla.

Di questi giorni orrendi come aguzze baionette #Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora