Capitolo 19 (parte 1)

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15 anni prima

"Ehi papà la mamma dice che la cena è pronta!"

Chiamo mio padre sbucando con la testa sulla porta del suo studio.

Non mi risponde. Sbuffo entrando, è accanto ad una delle ampie vetrate che danno sul giardino, di fronte a se un tavolo con uno strano cumulo di scatoline di cartone, fra le sue mani della colla a caldo ed è intento ad usarla su uno di quelle scatole. Mi avvicino un po' cercando di capire cosa stia facendo, sembra un plastico mal riuscito di qualcosa.

"Hai fior fiore di architetti e progettisti e ti metti tu a fare queste cose?" mi lascio sfuggire.

Papà sobbalza a quelle parole "Non ti avevo sentito entrare"

"È pronta la cena" rispondo continuando a decifrare il plastico che mi sembra comunque un cumulo di ciarpame. "Cosa stai facendo?" chiedo pentendomi subito della domanda, so che partirà con una delle sue spiegazioni che di certo avranno a che fare anche con la vita. Ho quasi 13 anni ormai e diventa sempre più difficile, per quanto gli voglia bene, sopportare i suoi discorsi.

Lui alza lo sguardo verso di me, "Questo", mostrandomi il plastico con orgoglio," sarà il mio più importante progetto, il mio modo per tornare qualcosa alla comunità. Me lo ha ispirato tua madre" conclude sorridendomi.

Lo guardo interrogativa, non capisco come mia madre possa aver ispirato quella cosa e perchè.

"Volevo fare di più, come lo sta facendo lei."

Corrugo la fronte, mio padre deve leggere la mia perplessità "Perché secondo te la mamma ha smesso di fare il medico?"

Alzo le spalle, -ecco che cominciano le domande retoriche- penso poi rispondo per evitare che me ne faccia altre "Beh, per stare più con noi, immagino e perché si diverte di più a fare quei ricevimenti di gala" . 

In realtà non ho mai capito perché abbia scelto di non dedicarsi più alla sua promettente carriera di chirurgo per fare la moglie a tempo pieno di Jake Griffin. Lo trovo così, svilente.

"Sai per che cos'era l'ultimo ricevimento che tua madre ha organizzato la scorsa settimana?"

Alzo gli occhi al cielo infastidita, lo sanno anche i muri . "Per la ristrutturazione degli ambulatori del padiglione pediatrico dell'Ospedale Mountainview" rispondo a pappagallo.

Mio padre apre la bocca un istante, forse pronto a ricordarmi che non gli piace quando uso quel tono di voce ma poi si ferma. "Se lei fosse stata un chirurgo a tempo pieno avrebbe potuto organizzare il ricevimento?"

Scrollo le spalle "Probabilmente no, ma avrebbe di certo salvato delle vite."

"Perché, secondo te, aver ottenuto abbastanza donazioni per poter acquistare nuovi macchinari salvavita non è un modo diverso per salvare delle vite?"

"Ma non è più un medico!" rispondo stizzita.

Lui scuote la testa "Tua madre a scelto di non operare più perché ha pensato che in quanto moglie di Jake Griffin, proprietario dell' Arca investments, avrebbe potuto fare molto di più, vista la sua posizione e" mi dice guardandomi fisso negli occhi facendomi sentire piccola piccola "Anche se non pratica più, sarà sempre un medico"

"Se lo dici tu!" ribatto ribellandomi.

"Lo dico io e quindi porta rispetto a tua madre."

Scrollo le spalle e annuisco controvoglia.

"È pronta la cena." gli dico mentre mi incammino verso l'uscita.

"Un giorno capirai Clarke.." le sue parole mi raggiugono mentre esco dalla porta.

ORA

"Non capisco perché non abbiamo preso il SUV" domanda stizzita Clarke mentre sale sulla Jeep di Bellamy.

"Perché è una bella giornata e mi andava di prendere la mia macchina" risponde sorridendo Blake sapendo che è altro che la sta irritando.

Da quando si è cambiata indossando un paio di comodi jeans e una leggera camicetta a maniche corte non ha smesso di lamentarsi ma la cosa, invece di infastidirlo, lo diverte.

Uscendo dal garage si immettono subito nel traffico già intasato della domenica mattina. Si aspetta che lei continui a lamentarsi di qualcosa invece si chiude in un mutismo ermetico. Il suo sguardo fisso sulla strada.

5 anni sono passati da quando i Gardens sono stati inaugurati, Clarke ricorda con un misto di dolore e rimpianto quel giorno, la felicità negli occhi di suo padre. Era stato il suo progetto, aveva combattuto strenuamente per poter aprire quel centro e finalmente ce l'aveva fatta. Clarke ricorda di quel giorno anche tutte le maldicenze degli altri, di come quel progetto sarebbe stato un inutile spreco di soldi in un quartiere senza futuro. Li aveva odiati per quelle parole, consapevole però che in fondo avessero ragione, che non c'era alcun motivo per investire in un progetto del genere, che sarebbe diventata l'ennesima cattedrale del deserto.

Si era odiata per non aver mai avuto il coraggio di partecipare a quel progetto al quale il padre teneva tanto, ma soprattutto non aver mai capito perché lo avesse fatto.

La giovane guarda di sottecchi Bellamy cercando di capire perché la voglia portare là.

Svoltano l'angolo ed entrano nel parcheggio del centro, le infieriate che delimitano l'accesso al complesso è la prima cosa che nota, l'ingresso ha il portone aperto, sopra di esso svetta, ancora integra, l'insegna "Gardens".

Poco oltre Clarke intravede il parco. Costeggiato ai lati non più da candidi edifici tinteggiati di bianco ma strutture vandalizzate da vividi colori che creano una strana ma armoniosa accozzaglia colorata che fa da contraltare al verde spento delle piante.

Clarke ha sempre saputo che quell'area verde non sarebbe mai potuta essere come le verdi oasi del nord, troppo caldo, troppa siccità. Eppure, l'impatto visivo, pur sconcertandola, le da una strana impressione di cura.

Parcheggiano poco distante.

"E cosa dovremmo fare qua?" si trova nuovamente a chiedere Clarke voltandosi verso Blake.

"Un giro e a lavorare" gli risponde criptico prima di scendere e recuperare una borsa dal sedile posteriore.

La giovane non fa più domande, quasi stanca di farle ma soprattutto incuriosita dai cambiamenti che scorge oltre le inferiate.

All in - scommessa vincente (COMPLETA - In Revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora