Capitolo 31 (Parte 1)

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DOVE ERAVAMO RIMASTI?

Un piccolo riassunto veloce: Dopo l'aggressione subita da Bellamy, sembra che i nostri due piccioncini siano prossimi al passo finale, ma una notte partita alla grande si trasforma per Bellamy in un momento decisamente spiacevole. Gli incubi non lo lasciano in pace e Clarke è testimone dell' effetto che questi hanno su di lui.

Bellamy, la mattina successiva, si chiude a riccio di fronte a Clarke e quest'ultima, oltre a rendersi conto di non conoscere l'uomo, ne rimane particolarmente ferita. Decide quindi di andarsene e Bellamy (Tordo com'è - lasciatemelo dire) non la ferma....

Cosa succederà ora? 

Non vi resta che leggerlo ;)


CAPITOLO 31

6 anni prima.

Sento che mi sto appisolando, non ho la forza di riscuotermi. L'aria condizionata e il vociare della sala d'attesa degli uffici del tribunale sembrano cullarmi. Scuoto il capo e apro gli occhi di scatto. Fra poco Octavia verrà liberata, ho già pagato la sua cauzione, il giorno del processo è stato stabilito. Dovrei cominciare a pensare ad un avvocato che la possa rappresentare, l'avvocato d'ufficio non mi ha dato una buona sensazione, ma al solo pensiero mi sento stanco, desidero solo dormire, almeno per un po', poi mi ritufferò nel resto.

Chiudo gli occhi, cerco di non sentire l'odore di sudore stantio della mia divisa di lavoro. Forse avrei fatto meglio a cambiarmi prima di correre al tribunale, non conosco ancora bene il regolamento interno del Majestic, ma di sicuro non faccio onore all'immagine del casinò in questo momento. La camicia stazzonata, la cravatta slacciata non sono un bel biglietto da visita.

Sento accanto a me la presenza di qualcuno che si sta sedendo, non può essere Octavia, mi avrebbero chiamato per firmare la sua uscita, apro gli occhi e mi sposto per lasciare un po' di spazio al nuovo venuto.

Noto fra le sue mani due caffè per asporto, non ricordo nemmeno l'ultima volta che ho mangiato, forse alla pausa di metà turno.

Il mio sguardo si fissa sulle tazze.

L'uomo sembra notare il mio interesse.

"Nottataccia?" mi chiede.

La sua voce e la sua domanda mi prendono in contropiede: raramente in luoghi come questo la gente ha voglia di parlare con gli altri, ognuno è concentrato sui propri problemi e non desidera sentire quelli degli altri.

Mi volto verso di lui. Ha qualcosa di familiare ma non riesco a capire dove l'ho visto: è vestito con una completo grigio e una camicia bianca, il viso fresco di rasatura.

Annuisco, senza sapere cosa aggiungere, attratto dai suoi occhi verdi che sembrano trasmettere una pacifica serenità. La linea delle sue labbra atteggiata in un sorriso sincero.

"Vuoi?" chiede, offrendomi uno dei caffè che tiene in mano.

Guardo prima la tazza e poi lui confuso.

"Avevo un appuntamento, ma la persona che devo vedere ritarderà e il caffè è buono caldo, altrimenti si rovina" risponde a mo' di spiegazione.

"Spero ti piaccia nero e senza zucchero" continua, sorridendo.

Senza accorgermene allungo la mano, sembrerebbe scortese non accettarlo.

Faccio solo un cenno del capo, senza riuscire ad esprimere a parole quanto quel gesto mi stia scaldando il cuore.

L'uomo non mi guarda, i suoi occhi si muovono nella stanza, sembra non fermarsi da nessuna parte mentre sorseggia il suo caffè.

Il suo sguardo sembra disinteressato, eppure si nota quanto sia attento ad ogni particolare. No, non sta cercando qualcuno, me ne accorgo subito. Sta osservando la gente, il suo sguardo è brillante, attento. Interessato.

Di colpo il suo sguardo si offusca, appare affranto. Punto i miei occhi nella stessa direzione: è una ragazza bionda, il viso pallido ed emaciato come chi fa uso di droghe, gli occhi persi nel vuoto. Sembra giovane, forse anche più di Octavia. Quella figura, la sua posa dimessa mi mettono tristezza, il mio sguardo percorre il suo corpo sottile, la spallina stretta della canotta nera che le è scivolata dalla spalla, una giacca jeans appoggiata sulla coscia e sulla sedia. È solo in quell'istante che mi accorgo del bambino addormentato, ha la testa poggiata sulla gamba della ragazza, seminascosto dalla giacca spunta solo la fronte coperta da riccioli biondi e parte del viso, il resto del corpo raggomitolato nella sedia accanto. Non so quanti anni possa avere, un paio al massimo, sento il cuore farsi pesante a quella vista, chiedendomi che vita possano fare quel bimbo e quella ragazza e perché si trovino in un posto come questo.

L'uomo accanto a me si lascia andare ad un pesante respiro. Mi volto verso di lui.

"Viene qui spesso?" la domanda mi sfugge all'improvviso.

L'uomo mi guarda, mi sorride, anche se il suo sorriso sembra triste ora.

Scuote il capo, "No, ma forse dovrei venire più spesso per vedere l'altro lato della medaglia e capire come essere più utile."

Non capisco le sue parole, sto per chiedere delle spiegazioni quando mi sento chiamare "Blake, Bellamy Blake".

Un impiegato del tribunale volge lo sguardo fra gli astanti e ogni tanto butta l'occhio sulla cartellina che ha fra le mani.

"Mi hanno chiamato, devo andare.." allungo la mano "Mi chiamo Bellamy Blake, la ringrazio del caffè signore, mi ci voleva proprio".

L'uomo si alza in piedi e mi tende la mano per stringere la mia "Jake Griffin, piacere di conoscerla"

Rabbrividisco quando sento il suo nome, penso alla divisa stropicciata che ancora indosso, che questo, di fronte a me, è il mio capo , di dove mi trovo e perché sono lì.

Getto un'occhiata veloce verso la porta da cui dovrebbe uscire Octavia, diviso tra la preoccupazione per lei e l'imbarazzo di trovarmi lì.

Ho cominciato a lavorare al casinò da poco e non ho avuto ancora mai occasione di vedere di persona Jake Griffin, ecco perché mi sembrava così familiare, e ora mi ha visto lì. Mi chiedo cosa penserà di me, ho bisogno del mio lavoro, specie ora che dovrò trovare un avvocato per Octavia. Prendo un respiro cercando di dire qualcosa ma il richiamo dell'impiegato mi blocca "Blake!" la sua voce è ora infastidita.

"Credo debba andare" mi dice, non ha smesso di sorridere, nel suo sguardo non leggo condanna o rabbia per avermi visto lì con la divisa del suo casino.

"La ringrazio ancora." Mormoro, ed è l'unica cosa che riesco e che mi sento di dire, poi mi volto per raggiungere l'impiegato e firmare le ultime carte. Mi giro solo una volta, ma Jake Griffin è già di spalle e sta camminando verso l'uscita. 

All in - scommessa vincente (COMPLETA - In Revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora