capitolo 48.

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Le lenzuola bianche e pulite incorniciano il corpo perfetto di Manu. Riesco a scorgermi e intravederlo sdraiato, a pochi centimetri da me. Se rimango in silenzio, è possibile sentire il suo respiro pesante che danza nell'aria.
Ho un forte mal di testa, ma è comprensibile dopo ciò che ho fatto ieri, non credo di aver mai bevuto così tanto in vita mia.

Lancio uno sguardo furtivo e spaventato all'orologio che segna le sei del mattino, poi sposto le attenzioni sul ragazzo che sta ancora dormendo beatamente.
Sembro un animale in gabbia che sta cercando di uscire disperatamente ma non trova una via di fuga, quindi è costretto a rimanere chiuso e segregato in una stanzetta.

Pensavo che mi avesse fatto del male, però sono ancora vestita, integra, senza particolari ferite o dolori strani, e questo facilita molto le mie intenzioni o il mio scopo: quello di scappare.
Ora non posso soffermarmi a pensare e a ricostruire ciò che è capitato ieri, devo solo uscire da qui.

Mi avvicino piano e silenziosamente alla porta, la apro leggermente e ci scivolo fuori con una grazia inaspettata.
Tiro un sospiro di sollievo: ho smesso di respirare per paura di fare rumore, il cuore mi batteva così forte che avevo paura che potesse esplodere, ma finalmente ci sono riuscita.

Ad un tratto sento la voce di Manu che chiama il mio nome. Subito dopo, come se fosse una sequenza, sento dei passi pesanti e meschini che si dirigono verso di me.
Senza nemmeno ragionare o realizzare, sto già correndo a perdifiato per il condominio che in queste condizioni mi sembra un labirinto.
Scale a destra, scale a sinistra, porte beige, ascensori in ogni angolo e vicini che mi guardano allibiti, sgranando gli occhi e alzando sopraccigli in modo guardingo.

Mi sento in trappola: non riesco a trovare una stupida uscita e Manu mi sta cercando. Se penso che mi è alle calcagna, mi sale un'ansia terribile che mi fa tremare tutta e mi manda in totale confusione.
Sembriamo Tom e Jerry, l'unica differenza è che il topo riesce sempre a farla franca, io non ne sono poi così sicura.

Mi fermo perché sento le gambe cedere. Prendo due grossi respiri, cerco di calmarmi, mettere a fuoco le idee ed eliminare per sempre quella confusione che mi ronzava in testa in modo assiduo, poco fa.
Il mio lavoro va a farsi benedire facilmente: Manu spunta dal corridoio, indossa solo i boxer e lascia scoperto il corpo scolpito.

Ricomincio a correre e lui dietro di me: salgo e scendo le scale, chiamo una ascensore che arriva dopo poco, mi infilo dentro e schiaccio il piano -1. Dentro c'è una famiglia che mi guarda preoccupata ma allo stesso tempo divertita dal mio aspetto buffo.
Sono tutta sporca, ho una faccia che fa invidia ad uno zombie e i miei capelli sembrano un nido di uccelli.

Loro sono vestiti bene ed io mi sto sentendo davvero a disagio.
Dalla mia faccia riesce a trapelare una fitta di disperazione e di aiuto, che loro non colgono.
-arrivederci.-
Sono messa male, anzi, malissimo, ma questo non giustifica il fatto di essere maleducata.
Loro invece non mi salutano nemmeno: sono ancora scioccati dal mio aspetto. Sembra che sia uscita dal video di Michael Jackson. 

Mi ritrovo in mezzo ad una distesa di auto di tutti i tipi, un grosso garage che sfocia in una grossa porta che si apre solo inserendo una chiave speciale che hanno tutti i condomini.
Una chiave che io non ho.
Sento l'ascensore arrivare: Manu.
Deglutisco e mi guardo intorno miseramente e in cerca di aiuto. Vedo un ragazzo che sta per mettere in moto la sua moto, i passi si avvicinano a ritmo veloce, ed io, senza aggiungere altro, salgo dietro alla sua moto.
Lui mi guarda stranito.

-portami via. Veloce! É questione di vita o di morte!-
In un attimo sale sopra e sfreccia via, facendomi uscire dal labirinto. Fortunatamente ho trovato uno sveglio che ha colto la mia richiesta d'aiuto.
Senza accorgermene, noto che le mie mani stanno stringendo questo sconosciuto che profuma di ciliegia.

-dove ti porto?-
Ha una voce profonda e sensuale, sospiro e mi accerto che non ci sia nessuno dietro di noi.
-a casa.-
Solo dopo mi accorgo della stupidaggine che ho detto. Come fa a sapere dov'é casa mia? Lo sento ridacchiare e scuoto la testa per poi scusarmi.
Gli dico l'indirizzo e lui annuisce per poi iniziare a parlarmi.

Il vento stropiccia i miei capelli disordinati nonostante il casco. Guardo il paesaggio Londinese intorno a me mentre lui viaggia senza problemi sull'asfalto, senza prendere nemmeno una buca. Il vento freddo mi accarezza i capelli e il volto in modo leggero ma vitale. Mi sembra di essere stata in apnea fino ad ora, ma finalmente ora sono tornata a respirare.
-come mai questo passaggio improvviso?-

-Mi ero persa e un ragazzo mi stava dando la caccia.-
Faccio spallucce in modo indifferente.
-che ragazzo? Come si chiamava?-
Chiede lui, ma io non ho intenzione di dirglielo. Però è stato così gentile con me, quindi mi lascio abbindolare.
-Manu. Manu Rios.-
Dico questo nome con disgusto, e lui annuisce comprensivo.
-io abito nella porta accanto alla sua. Siamo molto amici, sai?-
Mi sento sprofondare.

Fortunatamente siamo arrivati.
Rimango in silenzio e scendo dalla moto sconsolata, per poi guardarlo negli occhi: ha gli occhi color nocciola. Sorrido leggermente e lo ringrazio per il passaggio.
Mia madre mi ha lasciato la casa a Notting Hill alla fine, niente e nessuno che gira nel mio spazio vitale. Meglio così.

-dammi il tuo numero. Un giorno possiamo anche uscire.-
Come posso attirare ragazzi in questo stato? Non ho nemmeno un buono odore, un aspetto presentabile o qualsiasi altra cosa.
Accetto la proposta e sorrido cordialmente, cerco il telefono in borsa, ma non lo trovo. Mi viene un flashback: Manu che me lo sfila e me lo appoggia sul comodino. Non ci posso credere.

-l'ho lasciato da Manu! Ti prego, me lo puoi andare a prendere tu? Io non voglio tornarci!-
È una proposta davvero stupida, ma lui accetta. Forse gli faccio pena: la mia voce è carica di sconforto e tristezza.
-non so come ringraziarti.-
Lui monta sulla moto e mi fa l'occhiolino per poi sfrecciare verso quel labirinto.

Nel frattempo faccio una doccia lunga, ma lui non suona, questo vuol dire che ancora non è arrivato.
Mi faccio scivolare l'acqua addosso, che percorre il mio corpo, pulendolo insieme alla mia mente.
Appena finisco, mi asciugo i capelli  per evitare di ammalarmi, poi mi vesto con dei leggins e un maglione per stare in casa.

Finalmente suona, con il mio telefono in mano.
Lo prendo e lo ringrazio per la millesima volta. Lo abbraccio e gli do il mio numero: questo è il minimo. Mi ha davvero salvata dai guai e ne sono veramente grata.
-posso sapere come ti chiami?-
-io sono Carol. E tu?-
-sono Shawn.-

Annuisco, e poi lui ritorna sulla sua moto e sfreccia via, promettendomi di rivederci.
Entro in casa e noto che Blake mi ha chiamato venti volte: lo richiamo immediatamente.
-Hai risposto finalmente! Ma dove sei stata?!-
È preoccupato.
Gli racconto tutto, e lui mi chiede subito se mi ha fatto del male.
-no, sto benissimo.-
-sono geloso di questo Shawn.-
Ridacchio.
-non lo conosco nemmeno.-

Mentre sono in chiamata con lui, Shawn mi scrive. Mi mordo il labbro.

Shawn: Manu mi ha chiesto di te, cosa dico?

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