Capitolo 8

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Mercoledì 1 febbraio

Stesso scenario, stesso caldo soffocante. Ero sempre immobile, ogni parte del corpo anestetizzata completamente, a malapena potevo respirare o muovere gli occhi. Ero soltanto un fantoccio che rischiava di prendere fuoco da un momento all'altro.

Tuttavia, c'erano delle differenze rispetto ai miei sogni precedenti, di cui mi accorsi solo dopo alcuni secondi di agonia: prima di tutto, mi trovavo distesa sul pavimento e le fiamme formavano un cerchio intorno a me, più vicine del solito. Secondo, non vedevo più una sola sagoma. Ce n'erano due!

Sentii la paura prendere possesso del mio cuore e del mio cervello, una paura folle. Non ero pronta a tutto questo. Non ero pronta a veder ancora qualcosa che non sarei riuscita a spiegare. Cercai disperatamente di girare la testa o chiudere gli occhi, senza risultati.

Intanto, davanti a me, le due sagome avevano iniziato a discutere animatamente. Una delle due, quella più alta, si diresse verso di me, ma l'altra la bloccò prendendola per un braccio. La strattonò all'indietro, ma quella riuscì a liberarsi con un gesto stizzito e corse nella mia direzione, giungendo fino alla cupola invisibile.

Persi un battito. Era Ewan: non avrei potuto scambiare i suoi occhi con quelli di nessun altro.

Era tutto così irrazionale! Si trattava di un sogno, certo, e probabilmente dipendeva soltanto dal nervosismo che lui mi aveva provocato col suo avvertimento, ma come ogni altra volta in cui l'avevo sognato sembrava così reale... e, in fondo, anche la realtà aveva cominciato a prendere una piega totalmente inspiegabile.

L'altra figura lo raggiunse, cercando di farlo allontanare. Juliette. Logico, chi altro avrebbe potuto essere? Ormai la loro famiglia aveva preso residenza fissa nella mia mente.

Stavano parlando, ma da dietro la mia barriera non sentivo nulla. Provai a concentrarmi e... cominciai a percepire dei suoni... il mio nome?

In un attimo tornai alla realtà. Mi faceva male la schiena, come se fossi sdraiata su una roccia. Sentivo un brusio fastidioso intorno a me che non faceva altro che aumentarmi il dolore alla testa dovuto a... alla botta? Ero svenuta e cadendo avevo sbattuto la testa, realizzai di colpo. Ah, divertente. Non ero mai svenuta prima in tutta la mia vita e doveva succedere proprio adesso?

Aprii dolorosamente gli occhi e venni abbagliata dalle luci colorate delle lampade da discoteca. «Ma che cavolo... spegnete quei cosi!» mi lamentai, strizzando le palpebre.

«Non preoccuparti May, adesso ti portiamo all'ospedale» mi rassicurò Claire, inginocchiata accanto a me.

Spalancai gli occhi nonostante la luce. «Oh, no, niente ospedale! Sto bene, è stato solo un mancamento.»

«L'hai detto anche prima di svenire e guarda cosa è successo!»

«Claire, ti prego, lascia perdere. Adesso vado a prendere un po' di aria in giardino e torno come nuova.» Feci per alzarmi ma la mia amica mi costrinse a rimettermi giù.

«Scordatelo, May.»

«Ma... ma io voglio uscire.»

«Ti ci porto io.»

«No. Ho bisogno di stare sola e riprendere fiato. Poi starò bene.»

«May...»

«Claire. Ti prego.» La guardai supplicante e lei capitolò dopo pochi secondi, sebbene fosse visibilmente contrariata. «Oh, e va bene! Ma se ti trovo riversa fra l'erba ti lego al tuo letto per un anno intero, chiaro?»

«Chiarissimo» confermai, schioccandole un bacio sulla guancia per poi fiondarmi verso la porta a vetri. Appena sveglia avevo sentito improvvisamente il bisogno di visitare il giardino sul retro. Come se dovessi andarci.

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