Capitolo 52

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Domenica 19 febbraio

Si stagliava di fronte a me, simile ad un muro invalicabile. Pareti di un rosa sbiadito, serramenti di legno chiaro e un piccolo giardinetto sul lato frontale. Una casa tanto graziosa e allo stesso tempo tanto straziante, per me. O, perlomeno, in quel momento. Non era sempre stato così, ovviamente. Soltanto un mese prima era per me il mio rifugio, la mia seconda dimora, uno dei pochi luoghi in cui potevo nascondermi dai problemi. Ricordavo ancora le serate passate a ridere di fronte alla televisione, cosparse di popcorn e infagottate in coperte colorate. Tutto era svanito, ormai. Scomparso, come l'ultima scia di un bel sogno al sorgere dell'alba.

Mi passai il dorso di una mano sugli occhi, voltando le spalle a quella che era stata la casa della mia migliore amica, prima che questa venisse rapita dai miei nemici. Claire. Ogni giorno senza di lei mi lacerava il petto di nostalgia e, sì, di senso di colpa. Avevo provato a parlare con sua madre. Non avevo idea di come i Jones stessero tenendo la situazione sotto controllo, ma non potevo più aspettare oltre, né fingere che niente di tutto ciò fosse mai avvenuto. Stavo per andarmene e non potevo lasciare nulla in sospeso. Così, mi ero fatta coraggio. Avevo citofonato a quella casa in cui, per anni, avevo sempre trovato la porta aperta. Avevo chiesto il permesso per rientrare in quella che, una volta, era la mia vita.

Ero stata respinta. O meglio, non avevo ricevuto alcuna risposta. La porta era rimasta chiusa, così come le finestre, nascoste dietro le loro ante. La sensazione di vuoto che custodivo al centro del petto si era fatta di colpo consistente come un macigno, costringendomi a cercare un appoggio nel cemento del marciapiede. Ero ancora seduta lì, in attesa di riprendermi.

"Sei una debole, May. Pensa a lei. A cosa sta passando. Tu sei al sicuro, protetta da quattro valenti Guardiani, e ti disperi come una bambina. Claire non ha bisogno delle tue lacrime, ma dei tuoi gesti. Alzati dalla tua pozza di tristezza e agisci!" mi ordinai, posando i palmi a terra. Sentivo i piccoli sassolini incidermi la pelle, il vento sferzarmi i capelli. "La realtà è prepotente, violenta e, spesso, dolorosa. Ma va affrontata a testa alta. Nessuno può concedersi una pausa dal ritmo del mondo."

«Hai bisogno di altro tempo?»

Scossi la testa, senza voltarmi in direzione della voce. Sapevo bene che Kenneth non si sarebbe allontanato di molto da me, nonostante gli avessi chiesto di lasciarmi sola per qualche minuto. Si preoccupava sempre per gli altri, più che per se stesso. Bastava vederlo in quel momento, con i vestiti stropicciati e i capelli selvaggi. Da quando era venuto a sapere della partenza non si era rilassato per un secondo, affinché tutto funzionasse nel migliore dei modi. La mia bizzarra richiesta doveva avergli mandato all'aria tutti i piani, ma non si era lamentato. Mi aveva anzi incoraggiata nel mio intento.

Che era stato un fiasco, come dovevo aspettarmi. In ogni caso, qualsiasi cosa avessero fatto i Jones alla famiglia della mia migliore amica, l'avrebbero pagata cara. Il mio odio per loro sembrava destinato a non avere mai fine.

Feci per alzarmi. «No, Kenny. Non ho motivi per restare ancora qui.»

«Non sembri nemmeno convinta di volertene andare, però.»

Scambiai uno sguardo con lui, senza dover aggiungere altro. Sapevo che poteva capirmi, abituato com'era a vedere il proprio migliore amico correre un pericolo dopo l'altro. Sapevo che, se glielo avessi chiesto, sarebbe rimasto lì con me per tutto il resto del giorno. Tuttavia, non era giusto nei confronti degli altri, e nemmeno nei suoi.

Lui annuì fra sè. «Allora vieni con me. Ewan mi ha appena detto che dobbiamo raggiungere lui e le altre a casa tua.»

«Cosa?» sbottai, inarcando un sopracciglio. «Che ci fanno a casa mia?»

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