Capitolo 19

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Domenica 5 febbraio

Stavo correndo. Correvo, inciampavo, mi rialzavo. Riprendevo a correre.

Eppure non sapevo dove fossi diretta. Sentivo di doverci arrivare, ma non avevo idea di cosa stessi cercando né di quale luogo mi aspettasse alla fine della mia marcia. Continuavo per inerzia, perché era quello che era giusto fare. Non potevo ritrarmi.

Lentamente, l'ambientazione che mi circondava si fece più nitida, permettendomi di distinguere i tronchi degli alberi che mi sfrecciavano accanto, al ritmo del mio passo. Ero nel bosco, intuii. Sotto i miei piedi percepivo lo scricchiolio delle foglie autunnali ormai morte e la soffice consistenza dell'erba secca.

Alberi, alberi, ancora alberi. Ma dove accidenti stavo andando? Non ero mai entrata così in profondità nei meandri della foresta, mi ero sempre limitata a passeggiare sul confine, al massimo fino agli arbusti contrassegnati da una linea blu, quelli che indicavano il limite di sicurezza.

In quel posto non vedevo linee, solo buio, interrotto da vaghi accenni di luce. Ogni volta che un raggio sfuggiva dalla trappola dei rami frondosi e mi colpiva gli occhi potevo scorgere una rapida immagine stamparsi sulla mia retina. La cosa durava al massimo qualche secondo, non lasciandomi il tempo di decifrare ciò che mi veniva mostrato.

Di colpo mi fermai. Ero comparsa come per magia nel giardino di casa Blackwood, questa volta in penombra. Cercai di orientarmi. Non ero vicina alle vetrate, di conseguenza non riuscivo a localizzare la mia posizione.

Andai avanti. Era inutile stare ferma ad aspettare, e una sensazione prepotente nel petto mi induceva a dirigermi verso la zona più luminosa del prato, alla mia destra. La raggiunsi in meno tempo di quanto sarebbe stato necessario, come se mi fossi teletrasportata.

La vista che mi si parò di fronte mi lasciò senza parole: una grande pianta di rose nere, affusolata e indirizzata verso il cielo, stava venendo strozzata da una di garofani, rossi come il sangue appena versato. Essa si teneva ancorata ai rami spinosi della prima, stringendoli nelle sue spire come soltanto un'erbaccia potrebbe fare. La stava uccidendo, lentamente.

Chiusi gli occhi, per qualche motivo incapace di sopportare quell'immagine. Tesi una mano davanti a me, a palmo aperto, e i fiori rossi cominciarono a prendere fuoco uno alla volta, tramutandosi in cenere. Le rose nere parvero prendere fiato, allargandosi in tutto il loro splendore. Prima di essere anch'esse logorate dalle fiamme.

Gridai, mi lanciai in avanti per evitare che l'azione si compiesse, ma era troppo tardi. Presi i petali scuri fra le mani, bruciandomi, facendo sì che il fuoco avvolgesse anche le mie dita, e li strinsi al petto come se fossero tutto ciò che mi rimaneva. Non sentivo il dolore alla pelle martoriata, ma solo una fitta devastante in fondo al cuore...

«Ci metterà ancora molto a svegliarsi? È passato un giorno intero...»

«Non saprei. L'attacco non era dei più forti, ma senza un'adeguata preparazione...»

«Sì, capisco. Vorrei solo che... insomma, se aprisse gli occhi forse riusciremmo a far tornare in sé Ewan. Penso che si senta in colpa per non essere riuscito a deviare il pensiero di Kyle.»

«Non fatico a crederlo. Quel ragazzo sarebbe capace di considerarsi il responsabile della fine del mondo.»

«Ho paura, dearthair. Non sopporto vederlo in questo stato!»

«Neanch'io sorellina. Dobbiamo solo aspettare.»

Un brusio continuo mi fece corrugare la fronte. No, non un brusio... erano... sì, erano due voci, e cercavano con insistenza di insinuarsi nella nebbia dei miei pensieri, facendomi rimbombare fastidiosamente la testa.

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