Domenica 12 febbraio
May
Mi lanciai di peso contro la porta di casa Blackwood, incapace di fermare le mie gambe prima dell'impatto.
Avevano preso vita propria, i muscoli continuavano a muoversi senza che li comandassi. Se fossi stata in vena di scherzare mi sarei paragonata ai personaggi dei cartoni animati, quando correndo trasformano le loro gambe in due ruote veloci come la luce. Già, peccato che non lo fossi affatto.
Ero spaventata, non riuscivo quasi a prendere fiato per la paura, mentre le mie dita scivolavano sul metallo della serratura senza attrito.
«May, calmati» mi riprese Amber, allontanando le mie mani dalla maniglia della porta e aprendola con un unico gesto. «È tutto sotto controllo. Respira.»
Inspirai più aria possibile, fredda nella luce dell'alba. La sentii congelarmi il petto e, allo stesso tempo, trasformare la paura in un blocco di ghiaccio. Ma, nonostante tutto, quel blocco continuava a pesarmi sul cuore come un macigno.
Mi lasciai guidare nel cortile di ghiaia bianca. Da lì, subito dopo, raggiungemmo il giardino sul retro, dove il prato andava a tuffarsi fra gli alberi al limitare del bosco come un unico tappeto erboso disteso fra due stanze diverse.
Lì, vicino all'albero che dominava l'intero spiazzo con i suoi rami maestosi, ritrovai il resto della combriccola. Un manto di disperazione ricopriva le loro figure, tanto forte da contagiare anche me. Juliette e Kenneth erano immobili, in piedi, ma non per questo saldi sulle loro gambe. Sembravano sul punto di cadere a terra, le mani tremule, nervose, i lineamenti distorti dal dolore. Potevo scorgere i muscoli contratti delle loro spalle attraverso i pigiami leggeri. Dovevano avere freddo e, prestandoci attenzione, anch'io stavo tremando. Che fosse più per la mancanza di calore o per l'angoscia non avrei saputo dirlo.
L'ultima figura, accasciata a terra sulle ginocchia, i pugni stretti intorno a fili di erba umida e la camicia zuppa di rugiada, non si mosse al suono dei miei passi. Ewan sembrava essersi immerso nel suo mondo, distante da tutto e tutti. All'interno della sua corazza protettiva. Tuttavia, non doveva essere più sereno degli altri: la tensione del suo corpo era percepibile anche dalla distanza a cui mi trovavo, la sua rabbia era quasi una fonte di calore per la sua forza distruttiva.
Mi avvicinai a lui, consapevole del rischio di essere respinta, e posai una mano sulla sua schiena, leggera come una piuma. Non volevo essere invadente, volevo solo... oh, non lo sapevo nemmeno io. Consolarlo, forse, per quanto fosse possibile. Non ero mai riuscita a comprenderlo del tutto, una parte di lui, una parte importante, continuava a sfuggirmi, impossibilitando la mia impresa.
Sorprendentemente non si ritrasse. Si irrigidì per qualche secondo, questo sì, ma proprio mentre stavo per eliminare quel contatto lui rilassò i muscoli, lasciandosi andare contro la mia mano come un cucciolo spaventato e infreddolito. Sentii una fitta al cuore, ma cercai di non prestarle attenzione. Mi aveva evitata fino a quel momento, era inutile che mi facessi false speranze su un suo possibile perdono.
Alzai lo sguardo, concentrandomi finalmente sull'origine dell'incendio che aveva interrotto la mia visione. Non fui sorpresa dallo scoprire che, come avevo visto nei miei sogni, il rogo proveniva dal graticcio coperto di rose nere addossato alla parete posteriore della casa. Era stata una pianta enorme, quella, florida e viva. I suoi fiori, una volta simili a ritagli di velluto, ora erano fossilizzati in trappole di ceneri e carboni ardenti. Chiunque avesse appiccato il fuoco, e i possibili sospetti non erano affatto molti, aveva compiuto un vero scempio.
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Dreamkeepers
Fantasy«Un mondo di bugie e sotterfugi, dove gli incubi diventano realtà e dove il sangue detta legge. Ecco dove vivo. E dove vivrai anche tu se non mi starai lontana.» Owldale è tutto, fuorché un paese movimentato. Non c'è nulla che riesca a turbare la tr...