Capitolo 30

125 18 7
                                        

Lunedì 6 febbraio

Ewan

Ero stato un idiota, un vero idiota.

Non avevo scuse. Lasciarmi andare in quel modo... oh, non potevo credere di essere stato tanto sconsiderato! Ero piuttosto alticcio, certo, ma cosa credevo di ottenere con il mio comportamento? Avevo soltanto peggiorato la situazione.

Sospirai, diminuendo la velocità della moto. Ritrovare il punto in cui l'avevo nascosta non era stato semplice. L'avevo coperta con delle foglie in una zona vicina a quella dove mi ero appostato, ero sicuro di riuscire a ricordarne la posizione, ma non avevo considerato la possibilità di allontanarmi.

E May, cercando di sfuggire a ciò che era entrato nella sua testa, aveva preso un tale numero di svolte da lasciare spaesato persino me, che conoscevo i boschi quanto me stesso.

Beh, forse non mi conoscevo poi così bene.

Ancora non capivo cosa mi fosse saltato in mente, perché mi ero lasciato andare così facilmente con lei. Avevo perso il controllo, per quei pochi secondi in cui i ricordi avevano preso possesso delle mie azioni avevo rischiato di gettare al vento tutto il mio impegno per allontanarla dalla mia famiglia. Per quei pochi secondi, le avevo mostrato quella parte di me che nascondevo da anni, quella che nessuno avrebbe dovuto conoscere.
Non avevo fatto altro che illuderla.

E mi ero illuso anch'io. Mi ero illuso di potermi aprire con lei, di poter essere me stesso, almeno per una volta. Ma non potevo. I miei doveri venivano prima di qualsiasi cosa, non contava quanto ciò facesse soffrire me o chiunque mi stesse intorno. Non potevo permettermi di cedere agli istinti, quelli portavano solo distruzione e ulteriore dolore. Ci ero già passato, non volevo ripetere l'esperienza. Era stato abbastanza traumatico la prima volta da indurmi a chiudere quel lato di me nel cassetto più profondo della mia memoria.

"Ma tu sei anche quello. Porti la morte ovunque tu vada."

Sbattei le palpebre contro il vento che mi schiaffeggiava il viso, stringendo i denti. Era vero, non potevo negarlo. Sapevo perfettamente quanto potessi diventare pericoloso una volta fuori controllo, cosa sarebbe potuto succedere se mi fossi lasciato andare. Eppure con May era stato così semplice... così naturale, avrei osato dire... sincero.

Scossi la testa. No, non dovevo nemmeno considerare l'idea. Dovevo allontanarla, solo così sarebbe rimasta al sicuro. Lontano da me. Era stato quello il mio intento quando, accorgendomi in ritardo della mia incoscienza, le avevo sussurrato quelle parole. Erano state crudeli, non fatico ad ammetterlo. Ero risultato un cinco, manipolatorte, meschino, lo sapevo. Ma era necessario.

Anche se forse avevo esagerato.
Temevo che ora, odiando me, decidesse di allearsi con il Consiglio. Questo non doveva accadere, almeno non ora. Era ancora troppo influenzabile. Nei primi anni di vita noi Guardiani non sappiamo gestire i nostri poteri, tendiamo a percepire come nostre le emozioni di chi ci sta vicino. Per May la scoperta dei propri poteri era stata come una nuova nascita, era inesperta, ingenua.

Per questo non doveva cadere nelle mani di quei vecchi ipocriti. L'avrebbero usata come un'arma, per poi gettarla via, ormai ridotta ad un fantoccio inerme. I metodi degli Anziani erano gli stessi fin dall'inizio dei tempi: tortura psicologica. Una sola seduta di Rieducazione avrebbe potuto ucciderla, non ne avevo dubbi.

Mi riscossi dai miei ragionamenti, ormai giunto a destinazione.

Parcheggiai la mia moto nel piazzale vuoto sul retro del negozio, facendo stridere le gomme sul cemento consunto. "Questo posto fa decisamente pochi affari" commentai fra me.

Era deserto. Non c'erano nemmeno le macchine dei dipendenti a riempire quella landa desolata di asfalto.

Effettivamente, non era difficile capirne il motivo. Quel rozzo supermercato era quanto di più squallido avessi mai visto. Odiavo scendere in paese, e raramente lo facevo. Le città Sognanti mi ripugnavano.

DreamkeepersDove le storie prendono vita. Scoprilo ora