Capitolo 21

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2 anni prima

Ewan

L'agilità è tutto durante un combattimento. Certo, bisogna anche essere abili, allenarsi, saper calibrare la propria forza con attenzione, ma senza i giusti movimenti e la giusta velocità nel compierli non ci sono speranze di vittoria. Non quando, come nel mio caso, il guerriero in questione era un ragazzino di 15 anni, più esile rispetto alla media e con uno spietato senso dell'umorismo.

Sbuffai, rotolando sulla schiena. Ero disteso da ore sull'erba soffice della radura dei Ricevimenti, a poca distanza da casa mia. O meglio, la casa in cui abitavo da cinque anni, dopo che la mia famiglia aveva dovuto lasciare il Galles. A volte sognavo ancora le pennellate di verde che componevano il paesaggio, la campagna in cui amavo correre nei pomeriggi estivi. Detestavo i cambiamenti, e il modo precipitoso con cui avevamo dovuto trasferirci non mi aveva certo aiutato a superare la morsa insistente della nostalgia, che nei momenti più tranquilli mi segnalava la sua presenza stringendomi il cuore.

Quella radura era l'unico posto che, in un certo senso, mi alleviava quella sgradevole sensazione. Ci andavo spesso, la consideravo il mio rifugio dagli impegni di ogni giorno. Dal momento in cui ero diventato un Guardiano a tutti gli effetti, quando mi avevano inciso il simbolo di famiglia sul polso, non avevo più avuto modo di vivere una vita normale. Era un continuo ciclo di allenamenti, lezioni e ordini. Ed io non ero fatto per seguire le regole.
Nonostante ciò, però, mi piaceva imparare a combattere. E avevo scoperto di poter trarre dalla natura che mi circondava gli insegnamenti che nessun altro avrebbe potuto darmi.

Quel giorno ero rimasto ad osservare una farfalla volteggiare nell'aria serena del pomeriggio. I suoi movimenti erano aggraziati, delicati. Compiva complicate acrobazie senza fatica, con naturalezza, i suoi battiti erano sempre leggeri e precisi, con uno scopo definito.

La studiavo con gli occhi socchiusi e le labbra contratte per la concentrazione. Dovevo imparare a muovermi con la stessa agilità di quella farfalla. In confronto, ero goffo come un orso. Il mio problema era la mia fretta di vincere, che mi impediva di pensare alle mosse più convenienti, finendo per sprecare le mie energie troppo velocemente. Se solo fossi riuscito a trattenermi, a controllarmi...

«Ewan!»

Mi voltai di scatto, mettendomi d'istinto in posizione di difesa, lo sguardo attento. Scandagliai la zona e, quando individuai la fonte della voce, mi rilassai in meno di un secondo.

Mia madre era ferma sul limitare del bosco. I lunghi capelli biondi erano scompigliati dal vento, e lei cercava invano di sistemarseli dietro alle orecchie. Sorrideva, mettendo in evidenza le piccole efelidi che le cospargevano le guance e che Juliette aveva ereditato. Io avevo preso da lei la costituzione sottile, cosa di cui non andavo particolarmente fiero, e i lineamenti, più delicati rispetto a quelli di mio padre. «Sono qui» la chiamai, anche se era evidente che mi avesse già visto.

«Cosa fai lì da solo? Non ricordi che giorno è oggi?»

Effettivamente no, non lo ricordavo. Non ero mai stato bravo a ricordare le date, classificare i giorni secondo dei numeri era per me totalmente inutile. Preferivo vivere ogni momento come qualcosa di per sé unico, speciale. Sì, ero terribilmente ottimista, ma non mi dispiaceva fantasticare un po'.

Tornai a guardare la farfalla, che non aveva ancora smesso di librarsi fra i fili d'erba, mentre cercavo di capire cosa stessi dimenticando. Quella volò verso di me, andando ad adagiarsi sulla punta leggermente all'insù del mio naso. Incrociai gli occhi per osservarla. Aveva le ali di un blu cobalto intenso.

Mi madre rise e si inginocchiò accanto a me. «Credo che tu le piaccia» disse a bassa voce, per non farla scappare.

Sorrisi, riportando lo sguardo su di lei. Mi guardava dolcemente con i suoi occhi azzurri, gli stessi che ogni notte, da piccolo, mi accompagnavano nel mondo dei sogni. «Beh, io piaccio a tutti» replicai. In quello stesso momento la farfalla spiccò il volo, allontanandosi da noi.

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