Capitolo 12 pt.2

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Venerdì 3 febbraio

Driin.

"Oh, cavolo." Sbattei la testa sul banco, dove poi la lasciai, nascondendola con le braccia. Speravo di sparire magicamente prima di dover salire sulla moto di quel pazzo suicida, ma nessun UFO arrivò a portarmi via.

«Dai, non sono un guidatore così pessimo. Ieri non hai avuto problemi» sentii dire dalla sua voce, soffocata dalle braccia che mi circondavano il capo. Mugugnai. "Ieri non sapevo che tu non avessi la patente!"

«Non cambia niente. E ora muoviti, o ti porto giù con la forza. Non vorrai rovinare così il nostro primo appuntamento...»

Saltai su dalla sedia. «Non è un appuntamento!» replicai con veemenza.

Ewan ridacchiò. Era appoggiato con le braccia al banco alla mia sinistra, aveva arrotolato le maniche della giacca di pelle che teneva aperta sulla camicia bianca dell'uniforme e la cravatta con i colori della scuola era allentata. Notai che portava un bracciale metallico al polso sinistro. Se la St. Mary fosse stato un istituto più serio, sarebbe finito dal preside per delle mancanze come quelle.
«No, non lo è, l'ho detto solo per farti alzare. Non sei il mio tipo, piccola. Troppo testarda. Ora vieni.» Mi prese a braccetto e mi trasacinò letteralmente lungo le scale, dove inciampai un paio di volte.

Una volta in cortile, senza curarsi degli sguardi di tutti gli altri studenti, mi sollevò di peso e mi caricò sulla sua moto. A quel punto non feci più obiezioni. Perlomeno, se fossi morta in un incidente stradale, non avrei dovuto sentire i commenti di tutta la scuola il giorno dopo.

Ewan rise al mio pensiero. Non potevo sentirlo a causa del rumore del motore, ma percepivo le vibrazioni attraverso la sua schiena, e la cosa non mi piaceva affatto. Indietreggiai sul sellino, proprio mentre lui metteva in moto il suo trabiccolo lanciandolo a tutta velocità lungo la strada principale della città. Inutile dire che ricolmai in un lampo la distanza che avevo creato per non essere sbalzata giù dalla moto. Mi aggrappai a lui con tanta forza che temevo di soffocarlo, ma onestamente della sua salute mi importava poco se paragonata alla mia sopravvivenza. Già, dovevo riconsiderare l'idea dell'incidente. Preferivo mille volte i pettegolezzi a scuola piuttosto che finire sotto le ruote di un automobilista disattento.

«Ehi, anch'io non voglio averti sulla coscienza, Biancaneve. Scommetto che come fantasma saresti ancora più fastidiosa di come sei ora, quindi non preoccuparti, non farò incidenti» sentii Ewan gridare davanti a me.

"Certo, mi fido ciecamente" feci, dimostrando il mio sarcasmo con una presa ancor più ferrea sulla sua giacca.

Procedendo a quella velocità, apparentemente senza incontrare semafori - o, come temevo, dopo averli ignorati completamente dal primo all'ultimo - arrivammo a destinazione in poco più di un quarto d'ora. Quando ci fermammo per un attimo rimasi immobile, cercando di ritrovare l'equilibrio, incredula di essere ancora viva.

«Ti dispiacerebbe lasciarmi andare? Se ti piace la mia giacca posso anche regalartela, ma prima fammi entrare, fa troppo freddo qua fuori» mi disse dopo un po' Ewan, girando la testa verso di me. Aveva il suo solito mezzo sorriso sulle labbra, e ciò mi diede la forza per scendere e allontanarmi da lui. Barcollai ma riuscii a fermarmi prima di cadere. Allora alzai lo sguardo sull'insegna davanti a me.

Erano semplici lampade al neon blu e rosse, che formavano le lettere di 'Whitemoon'. Un pub, probabilmente. Osservai scettica l'angusto locale che con la sua strettezza sembrava scomparire nel vicolo in cui era incastrato. Claustrofobico, e anche buio da quel che potevo scorgere attraverso i vetri oscurati. "Da quando un bar ha i vetri antiproiettile?"

«Da quando è caduto nelle mani di John Marlow, o Martello, come lo chiamo io. Diciamo che il numero dei suoi nemici supera il mio» mi rispose Ewan avvicinandosi.

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