Capitolo 46

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Domenica 12 febbraio

May

C'è qualcosa di magico nelle emozioni. Tutte, in un modo o nell'altro, hanno un loro potere, sono rivestite da un velo di mistero difficile da spiegare a parole, un qualcosa che sfugge all'umana comprensione. Possono prendere il sopravvento su di te come farebbe un incantesimo, costringerti ad azioni inimmaginabili, innalzarti alla gloria, per poi gettarti nella polvere.

La paura. L'angoscia. La rabbia. Sono emozioni che hanno in comune molte qualità, a ben vedere. Ti fanno provare quel disarmante senso di impotenza, di inutilità, che si insinua nella tua carne come un veleno amaro e letale. Possono influenzare i tuoi pensieri al punto da condurti in errore, al compiere azioni avventate. La paura ti paralizza, ti annebbia la mente con assurde credenze. La rabbia ti corrode da dentro come un acido e ti rende stupido, impulsivo.

Stavo cercando di sopravvivere a quel connubio mortale da minuti, ore, forse addirittura giorni, ormai. Immersa nel buio, mi era impossibile calcolare il passare del tempo, tanto più con il caos di pensieri che mi turbinava per la testa. Stavo cominciando a perdere la ragione, o forse ero semplicemente stanca di lottare contro la stanchezza. Ma non potevo addormentarmi: Jayne sarebbe potuta tornare da un momento all'altro. Non potevo permettermi di darle alcun nuovo vantaggio su di me, dal basso della mia condizione attuale.

"Non pensare May, non pensare a niente" mi ripetei ancora, esausta. Sapevo che chiunque, là dentro, poteva sentire i miei pensieri. Potevano percepire le mie emozioni attraverso lo spessore dei muri, fra le molecole dell'aria, con la stessa facilità con cui si può bere un bicchiere d'acqua. Eppure, mi era impossibile frenare la mia mente. Ero sola, circondata dalle tenebre, legata nella stanza di una ragazza con evidenti problemi mentali. Come potevo rilassarmi al punto da nascondere i miei pensieri? L'ansia e la paura non aiutavano di certo, né la furia che provavo nei miei stessi confronti, in quelli di tutti i Jones e di Ewan.

Ewan. Non avrei mai smesso di rimproverarmi per la mia stupidità. Perché diavolo avevo deciso di seguirlo fin lì? Dovevo immaginare che sarebbe andata a finire male. Come ogni altra volta, stargli vicino non mi aveva portato altro che guai. Qualsiasi cosa facesse o dicesse, quel ragazzo non potevo evitare di compromettere la sua intera famiglia e i suoi amici. Ed io, da brava sciocca, continuavo a dargli la mia fiducia, a preoccuparmi per lui. Anche ora, mentre cercavo di convincermi che la colpa di quella situazione fosse soltanto sua, c'era qualcosa che brontolava il suo dissenso in fondo al mio petto, rumoreggiando per farsi notare.

Strinsi gli occhi, improvvisamente lucidi di lacrime. Odiavo non riuscire a controllare le mie emozioni. Odiavo non sapere come agire, come comportarmi, cosa credere. Era tutto così confuso, da quando avevo conosciuto i Guardiani. La mia vita, prima, si era sempre svolta placida, in un ciclo continuo, semplice e ripetitiva. Forse poteva essere considerata noiosa, ma ora, prigioniera dei miei nemici, non desideravo altro che tornare a quella cara, vecchia banalità che mi contraddistingueva un tempo.

"Dimenticare tutto... tutti. Tornare indietro." Sarei stata capace di farlo? No, non ci sarei riuscita, ne ero consapevole. Non volevo perdere ciò che avevo trovato: un pezzo di me, della mia vera identità. Quello era il primo passo per arrivare a conoscere i miei genitori, il loro passato. Il mio passato. E, nonostante tutti i problemi, mi sarebbero mancati anche i ragazzi: Kenneth, Amber, in parte anche Juliette e il suo caratteraccio.

Ewan. Mi rigirai nel letto, per quanto mi fosse consentito dalle corde ai polsi. Lui, in qualche modo, si era aggrappato alla mia anima con tanta forza da lasciarmi spiazzata ogni volta che ci pensavo. Era così assurdo, eppure tanto ovvio. Mi aveva ferito come nessun altro aveva mai fatto, poteva farmi arrabbiare, piangere e urlare con una sola parola, e questo non lo sopportavo, ma...

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