Capitolo 44

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Domenica 12 febbraio

Mi svegliai con fatica, sbattendo le palpebre stanche. Un mugolio infastidito mi fuoriuscì dalle labbra, troppo secche, seguito da un tentativo di allungare i muscoli indolenziti.

Tuttavia, non potei portare a termine il movimento. Ogni mio gesto veniva ostacolato da qualcosa che non potevo identificare. In quel momento, il velo di incoscienza che mi ottenebrava la mente si squarciò, spingendomi a spalancare gli occhi.

Intorno a me c'era solo buio. Non riuscivo a vedere ad un palmo dal mio naso, né a muovere le braccia o le gambe. Quella situazione mi ricordava irrimediabilmente la mia prima visione e ciò non faceva altro che alimentare la mia sensazione di panico.

Cercai ancora di muovermi. Sotto di me percepivo la consistenza morbida di un letto, sentivo il fruscio delle lenzuola contro il mio corpo e la ruvidezza delle corde che mi tenevano fermi polsi e caviglie. Il mio cuore batteva nel petto con forza, come se volesse scappare dalla prigione a cui il resto di me era costretto.

"Cosa... Dove mi trovo?" Deglutii, cercando di trovare la risposta che continuava a sfuggirmi. L'incendio. Ewan nel cortile dei Jones. Alistair e la sua proposta. Il mio rifiuto. E poi... il buio totale. Avevo ricevuto una botta alla testa ed ero svenuta, incapace di reagire. Dovevano avermi portata in casa, legata e costretta all'immobilità. E con me, anche Ewan.

"Perché non vengono a liberarci? Miles... È impossibile che abbiano imprigionato anche lui. Potrebbe andare ad avvertire Phil. Perché non è ancora arrivato nessuno?" mi ripetei fino alla nausea, mentre ruotavo i polsi nel tentativo di allentare le corde. Faceva male, percepivo la pelle lesa sotto alle mie manette, ma cos'altro potevo fare? Non avevo intenzione di restare ferma ad aspettare l'inevitabile.

Dopo alcuni minuti, mi lasciai ricadere sulla trapunta con un sospiro, per riprendere fiato. Ruotai lo sguardo su ciò che mi circondava, per quanto poco riuscissi a vedere. Ero in una stanza abbastanza grande e spoglia. Il letto su cui giacevo si trovava sulla parete di fondo, davanti alla porta. Potevo scorgerne i contorni nebulosi nell'oscurità. Il buio dipendeva dalle tende pesanti alle finestre, dalle quali sfuggivano alcuni deboli raggi. Era ancora giorno, dunque.

Quanto mancava ancora al nostro salvataggio? Non mi era dato saperlo e, forse, non volevo nemmeno. Non potevo darmi per vinta. Ripresi a tirare le corde con veemenza, soffocando le mie grida nervose. Controllai i miei progressi che, a dirla tutta, erano praticamente inesistenti. Forse, se fossi riuscita ad afferrare un oggetto abbastanza appuntito, avrei potuto recidere le fibre o almeno farle sfilacciare.

Gettai uno sguardo al comodino accanto al letto. Avrei potuto sfregare la corda contro uno spigolo del mobile, ma non era abbastanza vicino. Sulla superficie c'erano pochi oggetti: una biro, un tubetto di colla, un quadernetto dalla copertina rosa confetto, una lampada di ferro battuto. Accanto a questa, in un angolo, una bacchetta per capelli in acciaio.

I miei occhi si illuminarono. Allungai una mano, stirando le dita in tutta la loro lunghezza, ma senza successo. Provai a sporgermi con la testa, rotolando di lato. Mi diedi una spinta, poi un'altra. Cercai di raccogliere la bacchetta con i denti, ma tutto ciò che riuscii ad afferrare fu il quadernetto.

Ricaddi sul letto, con il fiatone. Era una battaglia persa in partenza: se non si erano premurati di portar via quegli oggetti significava che erano sicuri che non sarei riuscita ad utilizzarli per salvarmi. Non erano stupidi, sapevano come agire.

Sconsolata, spostai gli occhi sul libretto accanto a me. Sembrava il diario di una ragazzina, forse apparteneva alla famosa Jayne di cui Ewan mi aveva parlato. Lo recuperai e lo immersi nel fascio di luce più vicino, dato che non sarei mai riuscita ad accendere la lampada. Non sapevo perchè volessi leggerlo, nè se fosse giusto farlo. Sapevo solo che la speranza era l'ultima a morire e, in fondo, chi mi diceva che non avrei potuto trarre nulla di utile da quelle pagine?

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