Capitolo 60

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Martedì 21 febbraio

May

Le ginocchia cominciavano a dolermi, forzate dalla scomoda posizione che avevo assunto per tutto quel tempo. La stoffa dei jeans chiari si era scurita per l'umidità della strada e sentivo freddo fin dentro le ossa.

«Mi spiegate cosa stiamo aspettando?» mormorai battendo i denti. Riuscii a trattenere uno starnuto per un soffio e affondai il naso nel bavero della mia giacca. Potevo sentire ancora una vaga traccia dell'odore di Ewan impregnarne le fibre.

Juliette roteò gli occhi e sbuffò, premendosi ancora di più contro il muro che ci nascondeva da sguardi indiscreti. Gettò una rapida occhiata alla piazza, dove si innalzava candido il Palazzo Ducale, sede segreta del Consiglio. C'erano in tutto una decina di uomini nei paraggi. Juliette era sicura si trattasse di guardie in borghese. Di fatto, sembravano non voler lasciare la loro postazione in tempi brevi, cosa che, insieme al freddo notturno, non mi faceva affatto piacere.

«Stiamo aspettando un miracolo, contenta?» sbottò alla fine la ragazza, tornando a fulminarmi con i suoi occhi verdi ed espressivi. «Anch'io sono preoccupata per mio fratello, okay? Quindi cerca di non irritarmi ulteriormente.»

Strinsi i denti per non replicare. In fondo, aveva ragione. Era nervosa, sentivo i suoi nervi a fior di pelle, desiderosi di esplodere. Non doveva essere semplice per lei, tutta quella situazione. Ma di certo non lo era nemmeno per me. «Dobbiamo trovare un altro piano.»

«E sentiamo, avresti qualche idea? Aggiungendo per di più il rallentamento causato dalla tua amica svenuta, non abbiamo possibilità di intrufolarci di nascosto. Non ci resta altro che...»

«Farci catturare dalle guardie» conclusi io, mentre un'idea folle mi rimbalzava nel cervello.

Juliette sembrò non afferrare subito il significato delle mie parole, mentre Amber e Kenneth, che teneva ancora fra le sue braccia il corpo addormentato di Claire, mi fissavano ad occhi sgranati. Se fossi stata in grado di ascoltare i loro pensieri come una comune Guardiana probabilmente li avrei scoperti dubbiosi sulla mia salute mentale. In effetti, non ne ero sicura nemmeno io.

Quando Juliette si riprese dal suo stato di trance aggrottò le sopracciglia, facendo comparire una piccola ruga sulla sua fronte, nascosta in parte dalle frangia scura. «Ewan non ha affatto una buona influenza su di te.»

Alzai gli occhi al cielo. Mi alzai quel tanto che bastava per sedermi in modo più comodo sul lastricato e cercai di riscaldarmi le ginocchia bagnate, mentre riflettevo sul mio piano. «Non dire sciocchezze, non sono come lui. Ewan sarebbe già saltato addosso alla prima guardia senza pensarci un attimo» commentai poi ridacchiando.

Kenneth si unì a me, ripensando di certo a tutte le volte in cui l'amico si era ritrovato in una situazione simile. Amber invece scosse la testa, turbata dalle mie parole. «Non possiamo farci catturare. Come faremmo poi a far uscire Ewan?» mormorò infatti la ragazza, un labbro intrappolato con forza fra i denti.

Le posai una mano sul braccio, nel tentativo di calmarla. «Pensaci. Ewan è prigioniero nei carceri del Palazzo, che noi, da soli, non sapremmo raggiungere. Se ci facessimo prendere ci porterebbero direttamente da lui. E a quel punto dovremmo solo cercare un modo per tirarci fuori di lì, possibilmente prima di essere chiusi in gabbia.»

«È un piano folle.»

«Mi dispiace, non ho altre idee» feci io con un piccolo sorriso di circostanza, dato che in realtà volevo soltanto piangere per la frustrazione.

Kenneth intanto sembrava riflettere seriamente sulle mie parole, così come Juliette. Il respiro profondo di Claire contro il cappotto del rosso era l'unico suono che permeava l'aria salmastra. Poi, dopo alcuni attimi di elaborazione, i due ragazzi mi guardarono negli occhi, una nuova convinzione ad illuminarne il colore. Juliette fece un mezzo sorriso, lanciò ancora uno sguardo agli uomini in nero pochi metri più in là e, infine, si decise ad aprir bocca. «Potrebbe funzionare.»

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