Capitolo 15

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Venerdì 3 febbraio

Ewan

Pugno. Pugno. Calcio.

Di nuovo.

Pugno. Pugno. Calcio...

Con l'ultimo colpo il sacco andò a sbattere contro il soffitto, per poi tornare indietro, tracciando un arco nell'aria polverosa della palestra. Ansimavo, ma non sentivo altro che rabbia.

Dopo aver parlato con May ero tornato ad allenarmi. Di nuovo. Quella giornata stava peggiorando a vista d'occhio e sentivo di non poter reggere ancora la tensione, rischiavo di distruggere qualcosa, conoscendomi. Ero troppo impulsivo, lo sapevo, ma quando si trattava di Phil non riuscivo a trattenermi. Assomigliava così tanto a mio padre, pur avendo un carattere completamente diverso da quello del fratello...

Mio padre.

Scansai il sacco in movimento abbassandomi, lo oltrepassai con una capriola e con un altro calcio lo feci scontrare con il soffitto dall'altro lato, prima che completasse la prima oscillazione. Mi sdraiai a terra, guardando quello stupido fagotto ondeggiare sopra di me.

Non ricordavo con esattezza quando le cose con mio zio fossero cominciate ad andare in modo così disastroso. A pensarci bene, non eravamo mai andati d'accordo. Io ero sempre stato una testa calda, anche se tendevo ad obbedire ai miei genitori. Con Phil era diverso. Lui era il tipico maniaco del controllo, odiava quando qualcosa non andava come previsto.

Ergo, odiava me.

Ciò non era necessariamente un problema quando suo fratello, Neil, era ancora con noi. Mio padre era la persona più allegra che avessi mai conosciuto. A volte cominciavamo a lanciarci battute sarcastiche a vicenda, esasperando mia madre e mia sorella. Ero felice, allora.

Adesso la felicità era un lusso che non potevo permettermi.

Mi rialzai e slacciai i guantoni che mi proteggevano le mani. Erano inutili, così come ogni sorta di protezione. In battaglia non esisteva niente del genere. C'erano solo sangue, morte e dolore.

Ripresi a martellare di pugni il sacco rivestito di cuoio. Sentivo la pelle delle mani spaccarsi in corrispondenza delle nocche, ma il dolore era una cosa da nulla per un Guardiano. I nostri compiti quotidiani certo non contemplavano questo o alcun tipo di violenza, ma bisognava essere sempre preparati. I rapporti fra le famiglie erano costantemente tesi, e la mia in particolare non era mai stata nella top ten delle preferite dal Consiglio. Soprattutto dopo quel che avevo fatto...

Chiusi gli occhi. Non andavo fiero di quel giorno, per niente. Mi ero comportato in modo irresponsabile, avevo quasi condotto la mia famiglia alla rovina. Ma in fondo al cuore sapevo di aver fatto la cosa giusta, in quel momento. E avevo già fatto di peggio prima di allora. A quei tempi avevo già toccato il fondo del precipizio. Ero già un assassino.

Vedevo il rivestimento del sacco colorarsi lentamente di rosso. Il mio sangue. Risi, da solo, nella semioscurità. Ecco, l'unica cosa che contava nel mio mondo: il sangue, la famiglia, i poteri. Era tutto gerarchicamente organizzato, senza speranza di uscita.

Mi guardai il polso sinistro, coperto da un bracciale di metallo. Era un bracciale speciale, al cui interno era nascosta una lama, ma non lo osservavo per questo, non dipendeva dalla sua pericolosità il mio sguardo di disgusto. Io amavo i coltelli, erano le mie armi preferite, quando non potevo usare il mio potere.

No, non era per quello. Era per quello che c'era sotto.

Scossi la testa, e feci per riprendere a colpire il mio 'avversario', quando una voce familiare interruppe il mio gesto. Sorrisi, tenendo gli occhi chiusi. Quella voce mi aveva salvato in molte occasioni, come se fosse la mia stessa coscienza.

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