Fuori controllo

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Era salito per primo in autobus e subito aveva puntato i posti in ultima fila. Vicino al finestrino, con le cuffie già pronte. Accanto a lui, Denis Kaliberda e Kevin Le Roux ridevano per qualcosa, ma Luca restò voltato dall'altra parte e con la musica a palla non riuscì a sentire niente del loro discorso. Non gli importava. Non pensava nemmeno alla trasferta del giorno dopo. Non pensava a niente. Aveva una gran voglia di fermare il mondo, il tempo e non sentire più niente, non tutti quei rumori, non tutto quel silenzio. Aveva bisogno di risposte, ma non trovava altro che una radicale mancanza di senso. Un circolo senza fine, una spirale che si andava ampliando verso l'ignoto. Da fargli venire le vertigini. Si sentiva svuotato delle sue energie, ma soprattutto dei suoi sogni. Distratto, troppo distratto durante gli allenamenti, non rendeva che la metà del suo potenziale: stava fallendo in tutto ciò su cui aveva puntato nella sua vita e non trovava le forze per cambiare la situazione. I suoi cardini, i suoi punti di forza distrutti dalle fondamenta. Chiuse gli occhi. Che senso aveva buttare giù un pallone con tutta la forza delle sue braccia, se quelle braccia non erano riuscite a trattenere la persona che avevano tenuto stretta per anni? Simili pensieri erano alla deriva nella sua testa, ma non sapeva come fermarli.

Fuori dal finestrino il cielo coperto e le sue nuvole nere non lasciavano presagire niente di buono. Temporale alle porte, lampi, tuoni, pioggia e tutto quel freddo. Ma il sole prima o poi sarebbe tornato. E nella vita, invece, era davvero così? Quella banale frase del cielo, la pioggia e l'arcobaleno. Ma quale arcobaleno.

Tolse via le cuffie, perché la musica lo faceva riflettere su ciò che voleva cancellare. Denis rideva ancora, quel ragazzo era una carica di simpatia. Finse di sorridere anche lui, odiava quando gli si diceva che non rideva mai. Non era così.

D: Luca, allora? Domani è una giornata importante, lo sai no?

L: Sì, importante, tutte le giornate sono importanti, a modo loro.

D: Senti un po', hai la vaga idea del fatto che ci giochiamo un campionato partita dopo partita e che ci servi piuttosto carico per domani? Giusto per sapere.

L: Lo so bene cosa ci giochiamo. È il mio lavoro, l'ho scelto io.

D: Il problema è questo. Da quando consideri la pallavolo un lavoro?

L: Da sempre, Denis, da sempre. Perché, cos'altro sarebbe?

D: Un sogno, magari. Quello che realizza il percorso della tua vita. Hai sempre pensato questo e non sarà una ragazzina a farti cambiare idea.

L: I sogni sono per gli illusi. Denis, sono solo stanco. Vorrei staccare un po' la spina, tutto qui.

D: Ma quali illusi?! Svegliati amico, perché te lo dico chiaro e tondo: non ho intenzione di perdere per te e la tua nuova fase adolescenziale da amletico depresso, chiuso nel tuo mondo di letteratura e filosofia. Reagisci un po'. Sono passati quattro mesi ed è ancora la stessa storia.

L: Ma cosa vuoi saperne tu, di me? Per favore Denis. Sono cose che non ti riguardano. Lasciami stare.

D: Non so se ti rendi conto di quello che dici e fai. È dall'inizio del campionato che non prendi una partita per il verso giusto. Io sono tuo amico, cerco di capire, ma a tutto c'è un limite.

L: Vuoi sapere una cosa? La partita di domani non la gioco proprio perché sono stanco di questa pallavolo, stanco di questo sport che non mi dà più niente. Stanco di voi, che non vi fate i fatti vostri.

Si alzò di scatto, e Denis subito dopo di lui, ponendosi di fronte. Kevin li guardava piuttosto preoccupato. Non era mai successo niente del genere tra loro, al contrario, i due avevano sviluppato fin da subito grande sintonia. Ma Vettori era totalmente fuori di sé.

L: Lasciami passare.

D: Sei fuori di te, ragiona cazzo e smettila di fare l'idiota.

Luca non pensò a quel che faceva. Si vide agire come se non fosse realmente lui a dirigere il suo corpo. Vide le sue braccia che spingevano Denis e poi sentì soltanto un pugno nello stomaco.

Si sedette al suo posto, con lo sguardo fisso davanti a sé, spaventato. Cosa stava facendo? Cosa era successo?

Denis aveva reagito e gli aveva tirato un pugno. Guardò il suo compagno di squadra, sbalordito, e trovò sul suo volto la stessa espressione che doveva aver assunto lui stesso. Dopo aver avuto uno scatto d'ira aveva spinto Kaliberda che, in risposta, si era rialzato e gli aveva tirato un pugno. Non credeva nemmeno lui a quello che avevano fatto. Due atleti come loro che arrivavano alle mani per una semplice discussione. Su vergognò di se stesso. Ma quando mai..

Poi vide sopraggiungere Lorenzetti verso il suo posto nell'autobus, furioso come non l'aveva mai visto. Il peggio stava ancora per arrivare.

A fari spenti Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora