72 giorni prima
«Mi piace sul serio il tuo accento.» dissi una mattina mentre passeggiavo sulla spiaggia con Ariel, la quale era appena uscita dall'acqua e camminava con la sua tavola stretta sotto il suo braccio.
Non ci vedevamo dalla sera della festa; negli ultimi due giorni io e gli altri avevamo girato un po' l'isola ed eravamo rimasti a dormire per due notti nella costa opposta.
La vidi sorridere mentre si guardava i piedi, e mi ritrovai a fare lo stesso.
«Di dove sei?» le chiesi quindi, curioso.
Mi ero fatto un'idea sulla sua provenienza, appunto per il suo accento particolare, però volevo avere una conferma, che mi diede subito.
«Sono di Brisbane, Australia.»
«Lo sapevo!» esclamai, e Ariel rise di gusto.
«Anche il tuo accento mi piace.» continuò poi, guardandomi.
«Ah sì?» feci, affondando gli incisivi sul labbro inferiore per tirarmelo leggermente.
Ariel annuì continuando a sorridermi.
«Dì il mio nome.» disse poi, cogliendomi di sorpresa. La mia fronte corrugata e l'espressione stupita le fece aggiungere subito una giustificazione. «Sì cioè, non ho mai prestato attenzione al modo in cui pronunciassi il mio nome finora, e quindi... vorrei sentirtelo dire.» spiegò portandosi nervosamente una ciocca di capelli bagnata dietro l'orecchio, poi il suo nervosismo si tramutò in provocazione scherzosa. «Con il tuo accento inglese.»
Fece una smorfia da snob che mi fece ridere e scossi piano la testa mentre analizzavo il suo profilo; aveva un naso dritto e fine, con la punta leggermente rivolta all'insù.
Sfilai il pacchetto di sigarette dalla tasca dei miei pantaloncini sportivi e ne presi una, portandola tra le labbra per accenderla.
«Non appena finisco questa.» dissi allora, racchiudendola tra indice e medio, alzandola per fargliela vedere mentre soffiavo fuori il fumo.
Ariel alzò gli occhi al cielo, perfettamente consapevole che lo stavo facendo per provocarla.
«Che fine hai fatto in questi due giorni?» mi chiese poi. «Credevo te ne fossi andato senza neanche salutare.»
In effetti non l'avevo avvisata della mia piccola "gita" nell'isola; non che dovessi farlo, però dato che avevamo passato gran parte delle nostre giornate insieme ultimamente, avrei almeno dovuto dirglielo o appunto salutarla in caso fossi partito.
È che non avevo neanche il suo numero, e a dir la verità non lasciavo il mio numero alle ragazze molto facilmente.
Non che non mi fidassi di Ariel, solo che... ero stato ingannato troppe volte, deluso troppe volte, fidato troppe volte di persone di cui non avrei dovuto e oramai avevo rinunciato ad imparare il mio numero a memoria, dato che lo cambiavo in continuazione.
Non avevo idea di come facessero, qualche volta riconoscevo di aver sbagliato io avendolo dato appunto a gente che poi me l'aveva messa in quel posto, ma col tempo avevo imparato a stare attento e c'era sempre qualcuno, che fosse fan o gente dello spettacolo, che riusciva ad averlo e cominciava a tempestarmi di chiamate e messaggi.
C'erano quello belli, ma c'erano anche soprattutto quelli brutti, che purtroppo comprendevano minacce di morte mie, degli altri membri del gruppo, della mia famiglia e della mia ex ragazza.
Un altro dei tanti motivi per cui aveva deciso di troncare definitivamente con me.
Comunque, quello era il motivo principale per cui ero sparito all'improvviso senza neanche avvisarla; avevamo deciso all'ultimo e non avevo il suo numero, le uniche occasioni che avevo per parlarle erano quando scendevo nella spiaggia di Pipeline, su cui dava l'albergo in cui alloggiavo, sicura di trovarla in acqua.
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Haze||Louis Tomlinson
FanfictionMi chiamo Ariel Reed e ho ventidue anni. Vivo a Brisbane, in Australia, e sono stata in coma per nove mesi in seguito a un incidente. Mi sono ripresa abbastanza bene, il mio cervello non ha nessun difetto; riesco a fare tutte le cose che mi servono...