Giorno 175
Ariel's POV.
Quando Louis mi aveva proposto di partire con lui, così da passare l'autunno e l'inverno in continenti diversi rispetto all'Australia ne ero stata subito entusiasta per un motivo, in particolare: vivermi finalmente lo spirito natalizio con il freddo e, perché no, la neve.
Nessuno pensa mai – quando creano le pubblicità relative al Natale – a noi poveri australiani e ai sudamericani che di slitte, alberi innevati e camino acceso non ne vediamo manco l'ombra.
Avevo sempre sognato, fin da quando era bambina, di poter provare l'esperienza di vivere un Natale con l'atmosfera giusta; solitamente, io e la mia famiglia lo festeggiavamo in giardino, in costume affianco alla piscina, con mio padre a petto nudo che rigirava la carne sul barbecue e mia madre alle prese con l'insalata di riso perché di solito fa troppo caldo per stare ai fornelli tutta la giornata.
Ero quindi super elettrizzata all'idea che finalmente avrei potuto passeggiare per le strade la vigilia di Natale con una sciarpa al collo, degli stivali ai piedi ed un berretto caldo in testa... quello che non mi aspettavo, era il fatto che dicembre in California sembrava quasi lo stesso dicembre in Australia.
Il mese era cominciato solo da tre giorni, ma le temperature erano sempre miti; certo, non come a settembre, ma di certo non faceva freddo. Per questo, quel giorno, ero contenta che finalmente saremmo partiti per andare a Londra, dove la temperatura media era di sei gradi.
«Non ho mai visto nessuno essere così contento di andare in un posto dove fa così freddo e piove in continuazione.» commentò Louis, prendendo le valigie da terra mentre io controllavo nuovamente il meteo per accertarmi che nulla fosse cambiato rispetto a dieci minuti fa. «Mi puoi dare una mano?!» sbottò ad un tratto, e quando alzai gli occhi dallo schermo lo trovai con due borsoni in una mano sola, uno zaino in spalla e la sua valigia grande nell'altra mano.
Mancava ancora un altro zaino, la mia valigia e la mia tavola da surf.
Louis alzò le sopracciglia e allargò le braccia, facendomi ridere, e dopo aver preso le cose restanti ci dirigemmo verso l'ascensore per uscire di casa, dove un taxi ci aspettava già davanti all'edificio.
Nonostante fossi felice di andare via, durante il tragitto in ascensore non potei fare a meno di ripensare alla scena straziante a cui avevo dovuto assistere la sera precedente. Eravamo andati a lasciare Freddie a casa sua e quando era arrivato il momento di salutarlo, il bambino si era avvinghiato al collo di Louis – il quale era si era accucciato per essere alla sua altezza – e si rifiutava di lasciarlo andare, piangendo a dirotto.
Nessuno era riuscito a non commuoversi davanti a quella scena, con Freddie che aveva due occhioni gonfi e rossi, le lacrime fino al collo e le piccole braccia strette forti attorno al collo del padre mentre lo supplicava a gran voce: "Non andare via, per piacere! Non voglio che te ne vai, per favore! Non andartene!"
Briana mi aveva detto che succedeva ogni volta negli ultimi tempi, ma che nonostante questo non si era ancora abituata a vedere il figlio in quello stato; diceva che era molto più semplice quando Freddie era più piccolo e non capiva a pieno ogni cosa, mentre adesso che era cresciuto era praticamente impossibile fregarlo in alcun modo o evitare che scene del genere accadessero.
Freddie stravedeva letteralmente per Louis, non c'era un solo giorno in cui non lo guardasse in adorazione per qualsiasi cosa dicesse o facesse, e mi si stringeva il cuore al pensiero che adesso sarebbe stato un mese senza vederlo, che questo succedesse frequentemente, purtroppo, e cosa peggiore... che per nove mesi fosse stata principalmente per causa mia che Freddie non era potuto stare insieme a suo padre.
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Haze||Louis Tomlinson
FanfictionMi chiamo Ariel Reed e ho ventidue anni. Vivo a Brisbane, in Australia, e sono stata in coma per nove mesi in seguito a un incidente. Mi sono ripresa abbastanza bene, il mio cervello non ha nessun difetto; riesco a fare tutte le cose che mi servono...