Capitolo 47

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Giorno 100

Le foto di me e Louis che lasciavamo l'aeroporto di Los Angeles giravano su qualsiasi social da quando erano uscite, due giorni fa.

A parte gli articoli che leggevo di qualche giornale online, in cui avevano accuratamente oscurato il nostro dito medio – e di conseguenza parte della faccia, dato che ce l'avevamo proprio lì davanti – i social riportavano le nostre foto così com'erano, e la cosa divertente era leggere i commenti delle fan sotto ognuna delle immagini.

Nonostante ce ne fossero alcune che esprimevano il proprio giudizio su di me del tipo "non mi piace proprio quella ragazza" – e avrei voluto davvero sapere per quale motivo, dato che non avevo mai fatto nulla per meritarmi qualsiasi tipo di astio da parte loro nei miei confronti – le altre erano divertite dalle nostre pose e la maggior parte, per fortuna, avevano riservato davvero dei commenti carini per me.

Stavo facendo quello, seduta sulla mia stuoia in spiaggia, quando all'improvviso un pallone mi colpì la caviglia.

«Scusa!» gridò Freddie, e quando alzai lo sguardo verso di lui lo trovai con gli occhi spalancati ed entrambe le manine davanti alla bocca per coprirsela, chiaramente in imbarazzo.

Guardò il padre con uno sguardo furtivo e, quando Louis sorrise e gli fece cenno con la testa di andare a recuperare il pallone, Freddie cominciò a correre nella mia direzione. Allungai quindi il piede per avvicinare la palla e prenderla tra le mani, per poi porgergliela non appena mi fu davanti.

«Scusami.» mi ripeté di nuovo, i suoi occhi azzurri, della stessa identica forma del padre, fissi nei miei. «Non sono così bravo come papà a giocare a calcio.»

«Non ti preoccupare.» lo tranquillizzai, allungando le dita a sistemargli un po' i capelli disordinati per via del vento e del fatto che continuasse a correre da una parte all'altra della spiaggia. «E comunque, secondo me sei più bravo di papà.»

Freddie ridacchiò divertito e si girò a dare una veloce occhiata a Louis, prima di tornare su di me e avvicinarsi, mettendo la piccola mano a coppa sul mio orecchio per chinarsi a sussurrarmi qualcosa.

«A volte papà mi fa fare goal apposta.» mi confessò, mormorando appena. «Lui crede che non me ne accorgo, ma io lo so che lo fa apposta.»

Si allontanò per potermi guardare di nuovo negli occhi, e a quel punto non riuscii a trattenere il sorriso sincero e tenero che mi curvò le labbra.

Una delle prime cose che mi aveva colpito di quel bambino – che avrebbe fatto quattro anni con l'inizio dell'anno nuovo, ovvero tra quattro mesi esatti – era il fatto che ogni volta che parlasse, ti guardasse dritto negli occhi, intensamente. Quella era la primissima cosa che avevo notato, ed era certamente inusuale per un bambino di quell'età.

La seconda, era senza dubbio il fatto che fosse così furbo e così intelligente che dimostrava almeno due anni in più, per i suoi ragionamenti e i discorsi accurati che faceva a volte.

«Non dirglielo, però.» si affrettò ad aggiungere a quel punto. «Altrimenti ci rimane male.»

«Promesso.» dissi subito, unendo gli indici a "x" sulle labbra e schioccandoci sopra un bacio.

Freddie rise e poi mi diede le spalle per correre incontro a Louis, fermo a riva con le mani sui fianchi e un sorriso genuino sul volto mentre guardava nella nostra direzione. Indossava un costume rosso a pantaloncino, esattamente come quello di suo figlio, i capelli disordinati, esattamente come quelli di Freddie, e gli occhi leggermente socchiusi per via del sole forte di quel giorno.

Quando Freddie lo raggiunse ricominciarono a giocare, ed io mi circondai le ginocchia con le braccia, mettendomi a guardarli divertirsi con piacere. Erano entrambi a qualche metro di distanza l'uno dall'altro, Louis tirava il pallone a Freddie e quest'ultimo lo ri-calciava indietro, con l'obbiettivo di farlo entrare nella "porta" di calcio, costituita da due ciabatte infradito, infilate con la punta nella sabbia per delimitarne i confini.

Haze||Louis TomlinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora